Monassi al Porto, Tondo verso la firma
«Entro la vigilia di Natale decido», afferma il presidente della Regione, Renzo Tondo, a margine della festa del Pdl regionale alla Stazione Marittima
Tondo e il consigliere regionale Bucci
TRIESTE «Non parlo di porto». Renzo Tondo, mentre sale lo scalone, lasciandosi alle spalle un tripudio rosso di stelle di Natale ”incorniciato” dall’azzurro del Popolo della libertà, gioca d’anticipo. Non è il giorno, non è il momento: a Trieste si celebra la grande festa, si mostra l’orgoglio di un partito che ha subito un attacco «durissimo» ma l’ha respinto, si consuma la prova di forza. Riuscita: la Stazione Marittima, teatro della kermesse natalizia, è stracolma. «È lo sbarco dei mille» gongola Piero Tononi. «Macché. Siamo di più» rilancia Piero Camber.
E allora, mentre fende la folla e aggira il maxi-buffet orfano della mortadella che Maurizio Bucci giura ridendo d’aver visto, il governatore si gode applausi, strette di mano, abbracci. Nulla deve guastare l’atmosfera, condita di vessilli tricolori, men che meno il puzzle impossibile che vale i destini di Trieste e la tenuta del partitone del predellino. Ma una tessera sta ormai per andare a posto: Marina Monassi, il presidente dell’Autorità in pectore, è a un passo dalla vittoria.
Il governatore, in verità, nulla concede. Alimenta la suspanse. Ricorda solo che la firma più attesa, quella dell’intesa con Altero Matteoli, deve arrivare entro la vigilia di Natale. E aggiunge che arriverà. Già oggi? A Palazzo, nonostante il silenzio presidenziale, i segnali non mancano e i camberiani, seppur incrociando le dita, già pregustano il pacco dono sotto l’albero.
Di sicuro, però, la tessera portuale non risolverà il puzzle triestino: chi sarà, a primavera, il candidato sindaco? Roberto Antonione, arrivato alla festa seppur influenzato e forte del sostegno non a caso confermato un giorno fa dal governatore, ce la farà? O Giulio Camber, assente in presenza come tutti i senatori ”inchiodati” a Roma ma presente in spirito e non solo per le 160 bottiglie di Lambrusco rosso offerte in dono, si imporrà nuovamente? E magari tirerà fuori un nome a sorpresa?
Se lo chiedono in tanti alla Marittima. Ma, soprattutto, lo chiedono ai ”sommi vertici”. Quando la festa non è ancora iniziata, mentre Lorenzo Pilat fa la prova del suono e lo ”Zio” dirige la ventina di volontari pronti a servire al ringalluzzito Popolo della libertà quintali di pasta e fagioli, polenta con salsicce, prosciutto in crosta e salumi nostrani, Rosy Coslovich reclama «un nome all’altezza». E rimpiange infinitamente il terzo nome che turba i sonni del Pdl autoctono: «Roberto Dipiazza è un grande sindaco.
Il più grande. Antonione? No, non mi piace». Romana Vigini, la sua amica, è meno tranchant: «Vediamo chi scelgono. A me, comunque, Maurizio Bucci non dispiace...». Poche poltrone più in là c’è chi promuove, invece, il deputato triestino: «Antonione è un buon nome» afferma Bruno Marini. Nessuno si agiti. Non è il consigliere regionale, l’amico camberiano di una vita, ”solo” il suo omonimo: «Telefonavano a me, addirittura alle 2 di notte, pensando fossi lui. Mi facevano i complimenti per le elezioni finché un giorno l’ho visto e l’ho fermato per strada... Poi ho tolto il mio numero dalla rubrica» ride il ”Bruno Marini 2”. Subito dopo, però, si rifà serio: «Mi auguro che, alle elezioni, il centrodestra si presenti unito. Le divisioni sono assurde». È il sentiment più diffuso alla festa pidiellina che si apre con l’Inno d’Italia cantato a gran voce e si chiude, almeno nella parte ufficiale, con ”Meno male che Silvio c’è”.
Tondo, non a caso, se ne fa interprete: «Abbiamo il dovere di essere uniti, lasciare da parte le nostre divisioni, fare oggi un passo indietro per farne domani due in avanti. E io faccio un appello a tutto il centrodestra». Applausi.
Non gli unici. Ne incassano, intervenendo uno dopo l’altro sul palco, mentre gli organizzatori ”allargano” la sala e recuperano qualche sedia in più per i tanti ospiti in piedi, anche i big del partito. Il coordinatore regionale Isidoro Gottardo: «Noi siamo in tanti. Giorni fa, sempre qui, erano in pochi. Noi siamo un partito vero e, dopo il 14, abbiamo recuperato la fiducia degli elettori». Il vice Sergio Dressi: «Basta dissapori. Prendiamo una decisione e vinciamo uniti». Il capogruppo consiliare Daniele Galasso: «In Regione abbiamo fatto molto con poco. Governiamo con 500 milioni di euro in meno eppure abbiamo ridotto il debito, garantito sanità e welfare, blindato le autonomie locali, varato strumenti innovativi per le imprese». Il vice Franco Baritussio: «Mi rivolgo agli ex An e li invito a smetterla con la sindrome di chi si sente ospite in casa altrui. Non è così. E la barca, quando si affronta la tempesta, non si lascia». Ma come ignorare il padrone di casa? Dipiazza scalda la sala: «È l’ultima volta che faccio gli auguri alla mia città come sindaco. Poi, magari, farò qualcosa d’altro.
Non so, dipenderà dalle scelte della politica. Ma vi dico sin d’ora che abbiamo costruito una squadra invincibile. E abbiamo seppellito chi ci ha preceduto: non ci avrei scommesso un cent». Pausa, e scatto finale: «Vi bacio, vi abbraccio e vi assicuro che continuerò a battermi per questo partito e per Berlusconi». L’assalto al maxi-buffet può iniziare.
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