Molestie alla tredicenne: caso coperto per 17 anni
Qualcuno sapeva. Sapeva delle attenzioni che don Maks Suard, il parroco di Santa Croce che si è tolto la vita martedì scorso, aveva rivolto tanti anni fa alla tredicenne triestina, ora trentenne. Molestie più che abusi veri e propri, par di capire dall’indagine, come se una parola o l’altra potesse togliere o alleviare il dolore. Quel qualcuno si trova all’interno della Chiesa di Trieste e, all’epoca, aveva un ruolo ben preciso nel clero. E non avrebbe fatto nulla. A pochi giorni dal suicidio del sacerdote della minoranza slovena, trovato morto nella sua canonica sull’altipiano, emergono altri particolari della drammatica vicenda che sta sconvolgendo, ancora una volta, la comunità cattolica e la città intera.
Bisogna usare i verbi al passato per tentare di fare un po’ di luce sul caso e pure al condizionale, perché nulla è ancora provato. Molto, nell’ambiente, si muove tra il detto e il non detto soprattutto perché si fa difficoltà a ricollegare particolari ai quali nessuno finora aveva dato importanza. Ce n’è uno che invece ora potrebbe assumere un certo peso: la giovane avrebbe segnalato tutto a un responsabile dell’autorità ecclesiale già all’epoca nel ’97. Almeno un sacerdote con un incarico di rilievo in diocesi, stando a quanto rivelano fonti attendibili e vicine alla Curia, era stato informato. Ma il fatto sarebbe stato tenuto volutamente nel segreto. Solo da lui o anche da altri? Insabbiato per non creare scandalo? Monsignor Eugenio Ravignani, allora vescovo della città, era stato messo al corrente? A carico del prete, così schivo e taciturno, non risulterebbe alcun provvedimento. Don Maks, comunque, ha subito vari spostamenti: ordinato prete nel dicembre del ’95, ha prestato prima servizio a Sant’Antonio in Bosco, poi a Caresana nel Comune di San Dorligo e, infine, a Santa Croce.
Difficile capire se uno di questi passaggi sia ricollegabile ai fatti. Che, stando alle ricostruzioni, si sarebbero probabilmente verificati nel periodo in cui il sacerdote era a Sant’Antonio in Bosco, nel ’97, quando la ragazzina era tredicenne. La giovane, tempo dopo, avrebbe rivelato l’accaduto a un altro sacerdote, ma nulla sarebbe mai venuto a galla. Fino ai nostri giorni: la donna, adesso trentenne, ha deciso di denunciare l’accaduto ai Carabinieri e al vescovo Giampaolo Crepaldi dopo aver saputo che una bambina, sua parente, si è trovata come insegnante di religione a scuola il prete di cui lei era stata vittima diciassette anni prima. Il passato che ritorna come un fantasma, con tutta la sua sofferenza, e che Suard non è riuscito a sopportare. Da fonti investigative non emergono altri episodi di abuso, ma sono molti gli angoli bui di questa storia. Chi, nel clero triestino, sapeva e non ha fatto nulla? Certo, la Chiesa di allora non era la Chiesa di adesso, che negli ultimi anni ha fatto passi enormi per contrastare la piaga della pedofilia. C’era un’altra sensibilità o forse solo paura, desiderio di protezione. Omertà, la chiama qualcuno. Magari pensando che il tempo potesse cancellare tutto. Non è stato così: il sacerdote, schiacciato da quello che in una delle due lettere d’addio lasciate su un tavolo descrive come “un macigno”, ha deciso di abbandonare la vita terrena. L’ha trovato il vescovo Crepaldi, martedì pomeriggio, impiccato. In quei fogli don Maks ha confessato il suo dolore e ha chiesto perdono.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo