Mladic si rifiuta di difendere Karadzic
BELGRADO. «Radovan, grazie e scusa». Scusa, ma «non mi permettono» di parlare liberamente, questi «idioti» del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (Tpi), foro che «difende la Nato». La voce infine che si spegne, mentre l’imputato viene ricondotto in cella. Si è chiusa così ieri, alla Corte dell’Aja, un’udienza che avrebbe ispirato Ionesco e che sarà in ogni caso ricordata come storica. Storica perché sul ring sono comparsi insieme davanti al mondo, per la prima volta dai tempi della sanguinosa guerra che li vide primi attori, l’imputato Radovan Karadzi„, già leader politico dei serbi di Bosnia, e Ratko Mladi„, il suo ex braccio militare, nelle vesti di teste convocato “subpoena” a carico della difesa nel processo Karadzi„.
Ma nell’Aula 1, alle nove di mattina, dell’affiatamento tra i due all’epoca della pulizia etnica, dei remoti abbracci e sorrisi, nessuna traccia. Ed è comprensibile fosse così. L’incontro tra Mladi„ e Karadzi„ aveva infatti senso solo per quest’ultimo, che tendeva a dimostrare attraverso l’interrogatorio dell’ex generale di non avere nulla a che fare con la mattanza di Srebrenica e gli orrori di Sarajevo. Ma le speranze del primo presidente della Republika Srpska si sono presto spente. Spente dopo l’epifania del generale, preceduta dalle parole del suo difensore, l’avvocato Luki„. Mladi„ «non può testimoniare a causa delle sue condizioni di salute» e soprattutto per evitare che le sue parole possano auto-incriminarlo, ha specificato il legale. E poi quanto dirà, se indotto a farlo, sarà completamente privo di valore, perché il 71enne ex ufficiale ha problemi con la memoria, «non riesce a distinguere tra realtà e immaginario», riempie i buchi nel suo cervello con «fatti inventati». Mladi„ non sarà un virgulto, ma la sua salute è discreta e può testimoniare, magari avvalendosi della facoltà di non rispondere, ha però ribattuto a Luki„ il giudice sudcoreano O-Gon Kwon, mentre Mladi„ lo scrutava sorridendo ironicamente, inquadrato dalle telecamere che poi ritrasmettono sul web le udienze del Tpi. Pronunciamento, quello del magistrato, che ha aperto le danze di un surreale show, protagonista colui che viene comunemente descritto come il “boia di Srebrenica”. «Signor Mladi„, vuole prestare giuramento?», ha domandato Kwon. «Signore e signori, non riconosco questo tribunale, una creazione della Nato, un tribunale satanico», la risposta di Mladi„. E «la mia coscienza è pulita», ha poi continuato il teste rivolgendosi a Kwon, mentre Karadzi„ lo osservava, quasi con pena. Alla fine, tuttavia, il giuramento è arrivato, Mladi„ ha promesso di iniziare la sua audizione. Ma prima «mi si porti la dentiera», dimenticata nel carcere di Scheveningen, «così posso parlare meglio». Pausa di mezz’ora, poi il confronto storico tra Karadzi„, l’interrogante, e Mladi„, l’interrogato. Ma dichiarazioni importanti dalla bocca di Mladi„ non ne sono uscite.
E neppure risposte su questioni chiave sulla sanguinosa guerra in Bosnia. «Signor generale, noi due abbiamo mai stretto un accordo che prevedesse che i cittadini di Sarajevo fossero soggetti a bombardamenti e al tiro dei cecchini?», per 44 mesi, ha esordito Karadzi„. «Signor generale, mi ha mai informato oralmente o per iscritto che i prigionieri di Srebrenica», quei poveri 8mila maschi musulmani, «sarebbero stati o erano già stati uccisi?», le prime domande. «Non posso e non voglio testimoniare, perché ciò potrebbe nuocere alla mia salute e pregiudicare il mio caso», così Mladi„, dopo ogni domanda, come era suo diritto. E identiche non risposte, per il «disappunto» di Karadzi„, ha poi ammesso il suo avvocato Peter Robinson, sono arrivate anche sulla questione dell’«espulsione» di musulmani e croati dalle aree sotto controllo delle forze militari di Karadzi„ e Mladi„. Domande irricevibili, ha spiegato Mladi„, perché poste in un «tribunale non del diritto, ma di Satana». Domande a cui Mladi„, sorridente alla fine dell’udienza, probabilmente non risponderà mai.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo