«Mladic non fu il mandante di Srebrenica»
ZAGABRIA. Ratko Mladic è «colpevole soltanto di essere serbo e di aver difeso il (suo) popolo in una guerra iniziata da altri». Con queste parole, l'avvocato Branko Lukic ha iniziato venerdì la sua arringa finale, nel tentativo di evitare al suo assistito, il generale Mladic, la condanna all'ergastolo chiesta dall'accusa. Al Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia (Tpi), il militare serbo-bosniaco noto come "il macellaio dei Balcani" o "il boia di Srebrenica" assiste in questi giorni agli ultimi atti del processo che lo vede imputato per genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità.
Iniziato nel maggio del 2012, dopo una latitanza durata ben dodici anni, il procedimento giudiziario si concluderà nelle prossime settimane, mentre già da questo martedì avrà fine la requisitoria della difesa. Per Lukic, il 74enne generale è «un uomo innocente», che ha difeso la sua gente «nel rispetto della legge» e contro un nemico che usava «il fanatismo islamico» per arrivare al potere. «Non c'è niente di più inammissibile della colpa collettiva», ha proseguito l'avvocato, secondo cui i procuratori, che hanno chiesto per Mladic il massimo della pena, vogliono far passare l'idea che «chiunque sia serbo» è responsabile dei crimini commessi in Bosnia ed Erzegovina. Una «collettivizzazione della colpa» che è in realtà portata avanti proprio dalla difesa, per sminuire la responsabilità di Mladi„ e confondere le acque. «Il generale - ha sostenuto il procuratore Alain Tieger la settimana scorsa - fu una figura centrale nell'autostrada verso l'inferno», un'espressione usata negli anni Novanta dal leader politico dei serbi di Bosnia, Radovan Karadzi„. «La pulizia etnica in Bosnia non fu una conseguenza della guerra, ma il suo stesso obiettivo», ha proseguito Tieger e «Mladic ne fu uno dei mandanti», a Srebrenica, dove più di 8mila musulmani maschi furono uccisi in pochi giorni sotto gli occhi dei caschi blu dell'Onu, così come a Sarajevo, dove un assedio durato quasi quattro anni si accanì quotidianamente sui civili.
Una tesi fondata su «propaganda e mancanza di prove», ribatte l'avvocato della difesa Branko Lukic, secondo cui «i serbi dovevano difendersi per sopravvivere»A dato che Alija Izetbegovic, il leader dei bosgnacchi (musulmani), aveva iniziato «una guerra santa». Anche sul genocidio di Srebrenica, Lukic ha una spiegazione che scagiona il suo assistito: «Alcune persone sono state uccise in atti opportunistici e incontrollabili di vendetta privata». Si trattò insomma di uccisioni che non soltanto «non furono ordinate dal generale Mladic», ma che «furono commesse in aperta violazione dei (suoi) ordini». La separazione degli uomini dalle donne e dai bambini, le uccisioni di massa, le fosse comuni scavate con le ruspe, tutto avvenne, secondo la difesa, senza che il generalissimo, presente a Srebrenica, potesse rendersene conto. Ma l'accusa, al riguardo, ha potuto proiettare anche dei video, risalenti a vent'anni fa, in cui Mladic non faceva mistero delle sue intenzioni.
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