Mladic alla sbarra fa il gesto del tagliagola

Al via il processo contro il “macellaio dei Balcani” che gela la platea. Una sopravvissuta: «Si rivolgeva a me»
epa03220775 Former Bosnian Serb general Ratko Mladic (C) sits in the courtroom during his trial at the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY) in The Hague, the Netherlands, 16 May 2012. Mladic has been charged with 11 counts of genocide and other war crimes committed by the Serb army he commanded during the 1992-95 Bosnian war against Muslims and ethnic Croats. The most notable of the atrocities was the 1995 Srebrenica massacre of nearly 8,0000 Muslims and the 40-month siege of Sarajevo, in which more than 11,000 people were killed. EPA/TOUSSAINT KLUITERS / POOL
epa03220775 Former Bosnian Serb general Ratko Mladic (C) sits in the courtroom during his trial at the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY) in The Hague, the Netherlands, 16 May 2012. Mladic has been charged with 11 counts of genocide and other war crimes committed by the Serb army he commanded during the 1992-95 Bosnian war against Muslims and ethnic Croats. The most notable of the atrocities was the 1995 Srebrenica massacre of nearly 8,0000 Muslims and the 40-month siege of Sarajevo, in which more than 11,000 people were killed. EPA/TOUSSAINT KLUITERS / POOL

BELGRADO. Uno tsunami di orrore e di tristi memorie ha investito addetti ai lavori e pubblico nell’aula del Tribunale penale per l’ex Jugoslavia, dove ieri si è tenuta la prima udienza del processo contro Ratko Mladic, imputato per genocidio e crimini di guerra perpetrati durante il conflitto in Bosnia. Protagonista è stata l’accusa, coordinata dal procuratore Dermot Groome. «Due decenni fa, dei civili divennero target solo perché non serbi. La loro terra, la loro vita, la loro dignità furono attaccate in maniera sistematica e accuratamente organizzata».

In alcuni luoghi, l’aggressione «raggiunse il grado di genocidio», ha esordito Groome. Groome che poi si è lanciato in una dettagliata esposizione – che continuerà oggi -, dei crimini ascritti al comandante dell’esercito serbo-bosniaco, rafforzata da alcuni tragici flashback. La caduta di Srebrenica, le vuote promesse di salvare la vita a chi si fosse arreso. L’assedio di Sarajevo, le granate sul mercato di Markale, le condizioni di vita degli assediati, in trappola come topi. Le mappe demografiche della Bosnia pre-conflitto, un miscuglio inestricabile di colori associati alle diverse etnie, da semplificare attraverso la pulizia etnica. Pulizia etnica che, per il procuratore, non fu una conseguenza ma «l’obiettivo della guerra».

«L’accusa dimostrerà oltre ogni ragionevole dubbio che la mano di Mladic orchestrava questi crimini», l’impegno di Groome, che sembra avere ottime carte in mano. Tra queste, i diari di guerra di Mladic e documenti del suo esercito. Materiale probatorio pesante, che racconta il dietro le quinte del conflitto, la conta dei bosgnacchi «rimossi» da città e paesi, le discussioni con Karadzic, le assurde mire dei due, come quella di «raggiungere il mare» con le proprie truppe, dopo aver sbaragliato i nemici. Infine, gli «obiettivi strategici», tra cui la «creazione di un corridoio dalla Krajina alla Serbia» e la «definitiva separazione da musulmani e croati». Groome ha rievocato le forme più abiette della pulizia etnica condotta dagli uomini del generale oggi alla sbarra. I campi di concentramento per non-serbi, in testa quello di Omarska, reso famoso dalle immagini tv che ritraevano, 50 anni dopo i lager, uomini scheletrici dietro un filo spinato nel cuore dell’Europa.

Campi dove centinaia di prigionieri, «rinchiusi come sardine» in uno stanzone, erano costretti «a leccare la condensa che si formava sui muri», prodotta dal loro stesso sudore, per vincere la sete. Ancora più penosa la relazione sugli «stupri sistematici» delle donne musulmane. «Hanno ammazzato mia madre e mio fratello, poi sono stata violentata da 50 di loro», la deposizione scritta di una vittima degli sgherri di Mladic. Mladic che, sempre secondo le tesi dell’accusa, si dedicava anche al tiro a segno contro civili inermi. In un video ripreso durante l’assedio della capitale bosniaca, si è sentita la voce del generale incitare i suoi cecchini contro i «turchi»: «Io ogni volta che vengo a Sarajevo, ammazzo qualcuno». Durante l’udienza, Mladic ha ascoltato con distacco i capi d’imputazione. Sembrava aver perso un po’ della spocchia mostrata nelle udienze preliminari, ma la sensazione è rapidamente svanita. Prima qualche applauso ironico verso il pubblico.

Dopo un’ora di udienza, il generale ha poi chiesto una pausa. Lo ha fatto passandosi «un dito all’altezza della gola, mozzando il respiro alle persone sedute in galleria», ha twittato dall’Aja l’inviato del Guardian, Julian Borger. Successivamente una sopravvissuta di Srebrenica Munira Subasic presente in sala ha affermato che il gesto sarebbe stato indirizzato a lei, perché aveva osato fare il gesto delle manette verso Mladic. Il giudice Alphons Orie, alla ripresa dell’udienza, ha invitato l’imputato e il pubblico a non comportarsi «in maniera inappropriata», minacciando di far continuare la seduta a porte chiuse. Fuori dal tribunale, gruppi di sopravvissuti e di parenti delle vittime issavano intanto foto di desaparecidos e molti cartelli. Alcuni manifesti ricordavano l’inazione dell’Europa durante le carneficine: «Anche Gran Bretagna, Russia, Francia, Germania sono colpevoli». Altri auspicavano «giustizia per le vittime di Srebrenica». Altri ancora additivano Mladic come «il più grande assassino di innocenti e bambini», all’opera tra Sarajevo e «Srebrenica, 11.07.1995».

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