Mitsugu Harada: tra il Carso e il mare, trovare la musica riscoprendo il silenzio

Dal Giappone al Conservatorio Tartini e ai grandi podi

TRIESTE.  «Studiando musica classica s’impara il valore del silenzio e le sue tante forme: c’è quello vuoto e sterile e c’è quello vivo, carico di significati e ricco di premesse. C’è chi dice che a Trieste non c’è abbastanza dinamismo e movimento, per me invece questa città incarna bene quest’ultimo genere di silenzio, così evocativo che chiede soltanto di essere ascoltato».

Il contrabbassista, traduttore e appassionato di letterature Mitsugu Harada descrive così la sua personale fascinazione per Trieste, che l’ha accolto ormai 14 anni fa e da cui, complice un innamoramento, non si è più allontanato. È giunto qui per studiare al Conservatorio con il maestro Stefano Sciascia, che aveva conosciuto durante una sua tournée in Giappone. Quindi si è immerso nella lingua e nella cultura italiana, mettendoci la stessa passione con cui pizzica le corde del suo contrabbasso.

Qui ha imparato a prestare orecchio al silenzio del cielo cupo che copre come una cappa la città prima del clamore di un temporale estivo, del mare calmo su cui si specchia il sole al tramonto prima di scomparire all’orizzonte, di un Porto Vecchio che attende da tempo immemore di risvegliarsi. Ma con pazienza, senza fretta e senza alcuna necessità di svelarsi interamente.

Trieste, per lui come per la scrittrice Jan Morris, è un “nessun luogo”, che alla dichiarazione preferisce l’evocazione. E dunque Trieste è davvero ermetica, come una poesia di Ungaretti? O come un haiku, la forma poetica giapponese più nota, estremamente sintetica nelle sue 17 sillabe e “aperta”, nel senso che spetta al lettore chiudere il cerchio e darne un’interpretazione. Ma anche, pensando alla prosa, come un romanzo incompiuto, la cui bellezza risiede nel non detto.

Ci sono stati scrittori giapponesi che l’hanno raccontata? C’è una traduttrice giapponese, Atsuko Suga, che ne ha parlato nella sua autobiografia, “Trieste no sakamichi” (Le vie di Trieste), che però non è disponibile in italiano, tanto che ne sto preparando io stesso una traduzione. Suga viveva con il marito, un grande estimatore delle poesie di Umberto Saba, a Milano. Dopo la sua scomparsa decise di recarsi a Trieste in visita sentimentale sulle orme del poeta. Voleva vedere con i propri occhi i luoghi cantati da Saba e visitare la sua storica libreria.

Ma ne rimase parzialmente delusa: non ci ritrovò, racconta, quella vivacità e vitalità descritta nei suoi versi, quanto piuttosto un certo conservatorismo, e la libreria antiquaria le parve più un espediente turistico che altro. Il suo tentativo di far coincidere immaginazione e realtà fallì, insomma, miseramente. È proprio così? Ciascuno di noi interpreta la realtà in base al proprio sentire e al proprio vissuto. A me Trieste è piaciuta fin da subito: mentre mi ci avvicinavo a bordo di un treno regionale che procedeva sui binari con indicibile lentezza sono rimasto affascinato dal contrasto tra il mare aperto che si poteva osservare alla mia destra e il muro di pietre bianche che chiudeva la visuale a sinistra.

Mi ha ricordato la mia città, Kobe, che come Trieste si trova tra il mare e le montagne. Kobe però è molto più grande... Le somiglia geograficamente, ma ha un milione e mezzo d’abitanti e un’estensione non paragonabile. Qui il centro storico si attraversa con una passeggiata di pochi minuti e il mare è così vicino che si può quasi toccare: tutto è a portata di mano. A Kobe invece per spostarsi da una parte all’altra della città ci s’impiega almeno mezz’ora di treno. Insomma le piace la vita rilassata dei triestini. Senza dubbio i ritmi sono diversi. Qui si può pensare con calma, darsi alla contemplazione, apprezzare il silenzio e il vuoto.

Nelle città giapponesi invece si è bombardati d’informazioni: dovunque ci sono maxischermi pubblicitari e musiche per attrarre la clientela, e di sera tutto è illuminato con neon accecanti. È un chiaro esempio di sovraccarico informativo, una delle malattie dei nostri tempi. Come ha imparato l’italiano? Sono un grande appassionato di letteratura, perciò oltre ai corsi d’italiano offerti dal Conservatorio mi sono cimentato da subito con la lettura. Sono partito dai romanzieri giapponesi tradotti in italiano, quindi mi sono avvicinato ai vostri autori: il mio preferito è Calvino.

E tra gli autori che hanno vissuto a Trieste? Mi piacciono alcune opere minori di Svevo e amo le poesie di Joyce, in particolare la raccolta “Musica da camera”. Forse sono un tradizionalista, perché i suoi romanzi invece li trovo troppo complicati: per un parallelismo musicale lo comparerei con Schönberg, l’inventore della dodecafonia, di cui apprezzo molto di più le prime opere, come la “Notte trasfigurata”. Altre passioni? Sono tra i fondatori dell’associazione italo-giapponese Yu Jo, con cui organizziamo corsi di lingua ed eventi, come “Punti di vista giapponesi”, nel corso del quale l’anno scorso abbiamo proposto musiche, arte e letteratura giapponese. E ho un blog, contrinew.exblog.jp, dove racconto ai giapponesi la mia attività musicale e il fascino della città di Trieste.

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