Missoni diventa triestino Gli amici: «Che nostalgia, ecco l’Ottavio segreto»
Ottavio studente liceale all’Oberdan che «quasi ogni mese assieme al fratello Attilio inviava un telegramma alla mamma, a Zara, spiegando che per le tasse scolastiche occorrevano i soldi che in realtà servivano a loro ragazzi per altro». Ottavio giovane squattrinato che nell’immediato dopoguerra si intrufolava alle feste al Savoia con gli amici, ingegnandosi con i metodi più scaltri per non pagare. Ottavio inventore di quelle «maie» che zii e cugini consideravano con un misto di curiosità e apprensione, perché «chi te vol che le meti», quelle «straze» nuovissime e colorate che nel primo dopoguerra dovevano avere dell’incredibile...
Dai ricordi degli amici e parenti triestini, con cui è rimasto sempre in contatto, il ritratto di Ottavio Missoni emerge in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria, deciso dalla giunta comunale su proposta del vicesindaco Paris Lippi in onore «allo stilista e allo sportivo» e ratificato ieri sera dalla quasi totalità del Consiglio comunale (tre astenuti: Marino Andolina e Iztok Furlanic di Rifondazione comunista, e Stefano Ukmar del Pd: ma «niente di politico, è solo che non ero preparato e Missoni non lo conosco» ha commentato Ukmar). Il ritratto dunque, si diceva: un ritratto che restituisce l’immagine della giovinezza di Missoni, assieme a frammenti di una città dove – come ricorda lo stesso stilista – «no serviva darse apuntamento» perché «te te vedevi in Acquedotto, oppur in piazza Unità». Anche se gli aneddoti possono risalire fino ai tempi in cui i Missoni vivevano ancora a Zara, dove si erano trasferiti da Ragusa con Ottavio bambino. E allora, ecco sua madre, «la zia Teresa» nata de’ Vidovich, «l’unica che sfoggiava cappellini acquistati a Londra», come ricorda Renzo de’ Vidovich che di Missoni è cugino di secondo grado: era lei che sospettosa, negli anni prima della guerra, riferiva in famiglia di quelle «tasse scolastiche di frequenza quasi mensile». E più tardi, quando Missoni approdò definitivamente a Trieste nel ’46, «per me era il cugino che vinceva tutte le gare di atletica: era il mito», quello delle Olimpiadi e degli otto tricolori.
Ma era già il tempo delle prime macchine da maglieria, dell’azienda fondata con altri due grandi sportivi, il discobolo Giorgio Oberweger e il cestista – anch’egli cugino – Livio Fabiani: «Stavamo insieme ogni giorno, lavoravamo. Lui poco...», sorride Fabiani. Perché ecco, «è stata brava Rosita (la moglie, ndr) a metterlo a posto», aggiunge con l’affetto di un’amicizia che dura da sessant’anni, vacanze assieme e tutto il resto. Come il periodo in cui Ottavio e Rosita erano fidanzati, e Livio accompagnava l’amico in visita alla famiglia della futura sposa, a Sumirago.
Ma prima del matrimonio, di giorni trascorsi assieme a Trieste ce ne furono tanti. Perché «Ottavio aveva, ha un altro grande amico, Albano Albanese, sportivo della nazionale pure lui, che però amava pescare. Noi invece andavamo a ballare. Vivevamo alla giornata divertendoci, ma non avevamo i soldi. Un giorno c’è una festa al Savoia, Ottavio mi fa: ci andiamo? E io: ma come? Il giorno dopo avrebbe giocato qui a Trieste l’Inter, e i giocatori erano già arrivati in albergo: lui ne conosceva diversi. Così siamo andati nelle camere di qualcuno di loro, da lì siamo scesi per le scale interne arrivando alle cucine, e dalle cucine alla sala».
Missoni giovane atleta olimpico e «vita allo sbaraglio», ricorda Fabiani. Missoni creatore delle sue prime confezioni. «Mio padre lo prendeva in giro, Ottavio aveva la mania di essere elegante», interviene de’ Vidovich: «Inventò tute sportive attillate, così diverse da quelle larghe e brutte di allora. Una volta ne portò una a mio padre: ”Ma cosa ti viene in mente?”, gli disse questo. In famiglia non capivamo, ci sembravano cose talmente stravaganti e fuori dall’ordinario che eravamo tutti preoccupati. Affettuosamente critici, direi: ”Ma chi te vol che le meti ’ste straze?”».
Le «straze», si sa, iniziarono a indossarle in tanti. Non subito, certo, e dopo difficili inizi. Fino al ’53 le «maie» Missoni, Oberweger e Fabiani le facevano con la società Venjulia: quel nome voleva ricordare «una specie di Venezia Giulia latinizzata, ma in quegli anni... abbiamo levato la j perché iniziavano a chiamarci s’ciavi», racconta Fabiani.
Poi, nel ’53, il matrimonio di Ottavio con Rosita e il trasferimento a Sumirago, Varese. Le attività si sono divise, l’amicizia è rimasta. Le vacanze sul burchio veneziano – «Rosita era diventata bravissima a pescare» –, le giornate trascorse a Venezia dove Missoni ha casa: «E bisognava vedere come i giapponesi lo riconoscevano per strada...», dice Fabiani. E ancora oggi, «lui ha tutto un giro di amicizie molto lontane dal mio modo di vedere e di pensare, ma ci vogliamo molto bene e, con lui e con altri, ci ritroviamo nello spirito dalmatico», interviene de’ Vidovich, ex parlamentare missino: «La personalità di Ottavio è tale che mette a loro agio un po’ tutti, e c’è l’elemento umano che ha sempre la prevalenza». Un’umanità arricchita da una cultura «fatta da autodidatta, perché Ottavio legge tantissimo e di tutto. Una cultura fatta di divertimento, anche», dice Fabiani. Ed è proprio lui quello che ogni dicembre, «da un po’ di anni», acquista «prosciutti arrosti e luganighe da mandare a Sumirago, per le serate natalizie che Missoni organizza. Ci sono un sacco di personaggi e tanti piatti diversi, ma il prosciutto fumante con il kren è quello che va di più...». Come usa a Trieste, insomma.
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