Mirko Locatelli: «A Trieste il mio prossimo film»
TRIESTE. L’atmosfera mitteleuropea del capoluogo giuliano ha conquistato Mirko Locatelli che, a sorpresa, rivela: «Il mio prossimo film sarà ambientato a Trieste». Il regista è già stato nel capoluogo giuliano nel 2009 con il suo film d’esordio “Il primo giorno d’inverno”, in concorso a “Maremetraggio” e poi al Festival di Venezia nella sezione “Orizzonti”, e da quella volta, racconta, «abbiamo passato un paio d’anni avanti e indietro da Trieste, studiando un po’ tutta la zona e l’abbiamo trovata molto interessante. Quindi io e mia moglie, Giuditta Tarantelli, abbiamo scritto questa sceneggiatura. Una storia di frontiera e ancora una volta una storia d’amore, dove le donne hanno un ruolo determinante».
La fase di scrittura è terminata, adesso si tratta di trovare un produttore e di mettersi al lavoro: «L’idea è quella di girare a Trieste, a Lubiana e forse una piccola parte anche in Francia - racconta - dovrebbe essere una coproduzione e il ruolo principale sarà interpretato da un’attrice francese di cui però non posso ancora svelare il nome». Dichiarazioni che trapelano proprio nel momento in cui il suo bellissimo film “I corpi estranei”, in concorso al Festival Internazionale del film di Roma (voluto da Marco Müller in persona), esce in sala anche a Trieste (al Cinema dei Fabbri fino a mercoledì). La storia è quella di Antonio (Filippo Timi, in una delle sue interpretazioni più intense), che dall’Umbria viaggia verso Milano per accompagnare il figlioletto, affetto da una grave malattia. Lì troverà Jaber, quindicenne in fuga dai tumulti della primavera araba assieme a un gruppo di connazionali. Il destino li fa incontrare nell’ospedale in cui Antonio porta in cura il piccolo Pietro e dove Jaber si reca per assistere un amico malato. Partendo da un delicato rapporto padre/figlio e dal tema della malattia, Locatelli trova il modo per mettere in scena l’Italia multietnica e diffidente, il pregiudizio, il lavoro nero, la solidarietà. Ma il vero punto di forza del film è nello stile con cui questi temi sono affrontati, sempre composto e rigoroso.
«Abbiamo lavorato come se si trattasse di un documentario, dove le parole d’ordine erano dignità e pudore - afferma il regista. Siamo partiti da un’immagine - prosegue - un’immagine che Giuditta vide anni fa in un reparto oncologico, e cioè quella di un padre che aveva in braccio il suo bambino con un grande cerotto sulla testa. Le rimase impressa anche perché siamo abituati a vedere le madri in quelle situazioni. Noi invece siamo partiti da questo “Madonno”. Volevamo parlare del padre, spostare l’attenzione sull’adulto e sul suo senso di smarrimento».
L’interpretazione di Timi dà sicuramente al film un apporto fondamentale, capace di influenzare il racconto lavorando per sottrazione alle sfumature del suo sentire con veridicità ammirevole: «Abbiamo pensato a Filippo Timi già in fase di scrittura, poi lo abbiamo convinto». Senza dover insistere troppo, racconta l’attore: «Mirko mi è venuto a cercare, ci siamo incontrati e mi ha spiegato il suo progetto. Ho trovato bellissimo il ruolo di Antonio ma soprattutto mi ha convinto il modo in cui lo voleva rappresentare. Ci siamo trovati d’accordo su tutto. La compostezza è una caratteristica del modo di girare di Mirko, io ho solo cercato di apportare alcune cose che potessero rendere il personaggio ancora più autentico».
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