«Mio figlio lasciato solo. Denuncio Crepaldi»
«Il vescovo non gli è stato vicino... Maks forse era fragile... Così, lasciato solo con quel peso, credo che l’abbiano indotto al suicidio. Io... denuncerò Crepaldi».
La rabbia e il dolore hanno il volto di un padre in lacrime. Giorgio Suard apre la porta di casa con titubanza, incredulo che qualcuno si possa interessare a lui, al suo vuoto e al desiderio di verità per il figlio sacerdote, accusato in Curia e davanti ai carabinieri per una vicenda di pedofilia di 17 anni fa, e trovato impiccato il 28 ottobre scorso. La vittima delle attenzioni del prete, all’epoca un’adolescente, oggi è una trentenne. Per ragioni di tutela la sua identità dovrà restare segreta. La donna, contattata con ampie garanzie di anonimato, vuole rimanere nel silenzio. Parla invece il padre del sacerdote, 76 anni: lo fa in un racconto colmo di risentimento contro il vescovo. Le zone d’ombra che avvolgono il caso, su come cioè il presule ha gestito la vicenda, con la testimonianza del papà di don Maks si materializzano in insinuazioni pesanti. E una denuncia della famiglia presto potrebbe partire all’indirizzo della Curia.
Giorgio prepara un caffè, singhiozza, osserva spesso una foto in bianco e nero sopra il caminetto, come a prendere coraggio. È lui, giovane e forte, con la maglia del Ponziana. Scudetto sul petto, primi nel campionato dilettanti. «Ero a un passo dalla Triestina, in serie B», dice con orgoglio. Poi la vita lo porta a fare il pasticcere, a lavorare duro per non far mancare niente in casa. «Maks da ragazzo si stirava le camicie», sorride. «Certo, tra noi non c’era un gran dialogo. Ma venga qui...».
Prendiamo le scale, entriamo in una camera fredda. «Lì guardava la tv...». Sul pavimento giornali, ritagli, appunti, cuscini fatti a pezzi. Uno scaffale zeppo di libri, storie di santi. Tre o quattro videocassette su giovani ed educazione. Il don, si sa, era un insegnante. «Amore e attrazione», sta scritto su un’etichetta. «Mio figlio – riprende il papà – veniva spesso a mangiare a casa». L’ultima volta lunedì 27 ottobre a pranzo, un tortino di ricotta avanzato dal giorno prima. «Io ero sul divano, quando se n’è andato mi ha salutato con una parola e un gesto della mano... non ho notato niente di strano». Maks aveva già programmato tutto. Non l’avrebbe visto più. Il padre non trattiene le lacrime, deve inghiottire un groppo in gola. «C’è quell’altra stanza, ecco. Sa, questa invece doveva rimanere sempre chiusa a chiave, non mi lasciava entrare. Però – si sforza di pensare – mercoledì, quando lui non c’era già più, l’ho trovata aperta. Strano, come se l’avesse fatto apposta per evitarmi la fatica di buttarla giù». Una scrivania, un crocifisso, un armadio e un letto ancora sfatto.
Ritorniamo in cucina. Il papà si sofferma su una foto di Maks, giovane e piuttosto bello, assieme a Wojtyla. Risale alla visita del Papa a Trieste, nel ’92.
Ricordi che per un po’ lo allontanano dalla drammatica realtà di oggi. «Perché si è suicidato? Perché? La polizia – mormora – mi ha riferito che il vescovo aveva intenzione di mandare mio figlio a Roma un anno, per pentirsi. Lo avrebbero tolto dalla sua comunità e dalla scuola. Io credo che Crepaldi – prosegue Suard – conoscendo il carattere chiuso di Maks non avrebbe dovuto buttargli la croce addosso... Non è stato aiutato. Solo il vescovo poteva farlo perché era l’unico che sapeva. Mio figlio un pedofilo? Macché, non aveva di quei problemi». La Curia afferma che però c’erano «gravi fatti» e che Maks li aveva ammessi. «Lo dicono loro», obietta Suard, «l’hanno indotto a uccidersi». Si interrompe spesso, è distrutto. «Mi restava solo lui... Ma non finisce qui, scriverò al Papa e farò denuncia. Voglio solo verità». C’è un altro aspetto: nessuno aveva avvertito il padre del suicidio. «L’ho saputo dalla vicina, capite?».
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