«Milica sarà cittadina italiana in pochi mesi»

L'impegno del sottosegretario all'Interno Mantovano: solleciteremo il rilascio dei pareri necessari
«Accelereremo l'esame della sua richiesta e nel giro di pochi, anzi pochissimi mesi, Milica Novakovic otterrà la cittadinanza italiana».

Non è la promessa sbrigativa fatta da qualche funzionario, ma l'impegno assunto formalmente, per voce del suo segretario personale Alessandro Monteduro, dal sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano. Lo stesso esponente del governo che mercoledì scorso, subito dopo essere stato informato del caso della neolaureata serba di 26 anni - a Trieste dal 1990 e a rischio espulsione nel caso in cui, a gennaio, non trovasse un nuovo lavoro -, aveva garantito il suo interessamento. Un interessamento che, in effetti, c'è stato e potrebbe a questo punto portare in tempi rapidi, probabilmente già entro la fine dell’anno, alla conclusione dell’odissea burocratica della giovane di Belgrado, ormai triestina doc.


«Su indicazione del sottosegretario Mantovano - riferisce il segretario personale - sono state acquisite le informazioni relative all'istanza, legittima, presentata da Milica Novakovic ai fini dell’ottenimento della cittadinanza». Un’istanza che, in base alle verifiche eseguite su imput del rappresentante del Viminale, risulterebbe in stand-by perché in attesa dell'acquisizione di alcuni pareri tecnici. «E questo è l'impegno che Mantovano, pur non avendo la delega diretta all’immigrazione, ha deciso di assumersi - continua il suo braccio destro -. Solleciteremo quindi il rilascio di questi pareri, essenziali per l’ottenimento della cittadinanza, e faremo in modo di accelerare l'iter per lo sblocco della pratica. Agiremo insomma da "cane da guardia" per fare in modo che il prima possibile arrivi la risposta tanto attesa dalla giovane. Alla luce di questo in pochi, o meglio pochissimi mesi, la signorina Novakovic potrà diventare a tutti gli effetti cittadina italiana».


Una prospettiva a cui Milica stessa stenta quasi a credere («sono felicissima, non speravo nemmeno in una risposta tanto rapida»), e che apre a questo punto spiragli importanti anche per gli altri giovani, serbi e non solo, alle prese con un identico calvario. «Di situazioni così ne esiste purtroppo più d’una - conferma il direttore della Caritas Mario Ravalico -. Basta pensare agli immigrati di seconda generazione, nati in Italia o arrivati qui in tenera età, figli di genitori che non hanno mai preso la cittadinanza italiana. Ho in mente per esempio il caso di una famiglia somala, approdata a Trieste dopo lo scoppio della guerra nel loro Paese. Il padre è medico cardiologo, la madre è caporeparto in una casa di riposo. La maggiore delle due figlie, che oggi ha poco più di vent'anni, vive qui da quando ne aveva due, ma continua a essere considerata una straniera. Per lei, esattamente come per la giovane serba, non esistono vie d’uscita: o arriva la cittadinanza o, se non c’è un lavoro che permetta di vedersi rinnovare il permesso di soggiorno, scatta l’espulsione. Lo stesso rischio - conclude Ravalico - al quale va incontro qualsiasi immigrato extracomunitario in caso di licenziamento: chi perde l’impiego ha solo sei mesi di tempo per trovarne un altro. In caso contrario, anche se risiede qui da una vita, per effetto della nuova legge che personalmente giudico delirante è costretto a tornare in patria».


Un rischio che, prima di Milica Kovakovic, ha corso anche un’altra giovane serba, Lidija Radovanovic. «Il problema esiste da tempo: l’ho sperimentato io quattro anni fa quando al governo c’era il centrosinistra - racconta la donna, anche lei laureatasi a Trieste -. In Italia il fatto di avere alle spalle dei genitori in possesso di carta di soggiorno a tempo indeterminato non conta. Un giovane che, dopo gli studi, si trovi a perdere il lavoro non ha scelta: se non vuole essere rispedito in patria, deve trovare subito un nuovo impiego e passare per il meccanismo delle quote. Ne so qualcosa perché l’ho vissuto direttamente, e posso assicurare che non è semplice. Anche perché - conclude Lidija Radovanovic - le quote sono riservate in gran parte alle colf e alle badanti, mentre le persone laureate con 110 e lode rischiano per assurdo di restare fuori».

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