Migranti in Fvg, la mappa dell'accoglienza straordinaria comune per comune

I paesi in cui sorgono i centri di accoglienza straordinaria in regione: un sistema intasato che, progressivamente, ha soppiantato quello dello Sprar, teso all'integrazione del richiedente asilo. Le quote dell'accoglienza fissate dal Viminale eccedute in molte realtà locali
Gradisca (Go) - Un ospite del Cara davanti al muro di cinta
Gradisca (Go) - Un ospite del Cara davanti al muro di cinta

Il centro di prima accoglienza di Cona (Ve), sede nei giorni scorsi della rivolta di alcuni migranti in seguito alla morte di una ragazza della Costa d’Avorio, dista poco meno di 200km da Trieste. I richiedenti asilo ospiti del campo sono circa 1.400 e hanno denunciato le condizioni in cui sono costretti a vivere, definite "inumane".

Un'ora e mezza di macchina più in là, in Friuli Venezia Giulia, la situazione non è tanto diversa: secondo il Presidente dell'Ics Schiavone, le strutture dell'ospitalità emergenziale sono "gigantesche bombe sociali". 

I dati raccolti dalle quattro prefetture regionali a metà dicembre mostrano come il sistema di ospitalità straordinaria abbia travolto quello, ormai saturo, dell'ospitalità ordinaria a tal punto da paralizzare il funzionamento di quel "patto" tra Stato ed enti locali che prevedeva una proporzionalità nell'accoglienza. 

I 2,5 posti ogni mille cittadini ipotizzati ad ottobre si scontrano con la realtà di comuni come Monrupino (dove è attiva la Casa Malala all'ex caserma di Fernetti) che di migranti ogni 1000 abitanti ne ha 134; Resiutta (Ud), dove gli ospiti sono 22 a fronte di 309 abitanti o il minuscolo Tramonti di Sotto, provincia di Pordenone, che "non disdegna di dare un contributo per favorire l'integrazione e garantire il sostegno" ospitando 14 migranti in due appartamenti privati. 

 

 

Sono questi i paesi sul podio della solidarietà emergenziale in regione. Lo si vede a colpo d'occhio dalla mappa delle presenze nei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) negli 82 paesi del Fvg interessati dal fenomeno(su 219).

In tutto, a metà dicembre, il Friuli Venezia Giulia ospitava 3882 migranti a cui vanno aggiunte le 509 presenze del Cara di Gradisca, struttura non inclusa dalla tabella in quanto di gestione ministeriale e dalla capienza massima dopo ristrutturazione di 406 posti. Il totale è di 4391 persone. 

 

 

L'analisi dei dati. A cosa si riferiscono questi numeri? Come scriveva l'Espresso, c'è un'accoglienza buona e una cattiva. O meglio, una emergenziale e una ordinaria, tesa ad una integrazione del rifugiato. In regione, oltre al Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Gradisca, esistono le strutture di primissima accoglienza a breve termine (Cda) che sono quelle a cui si riferisce la nostra mappa. Realtà come quella di Cona, per intenderci, o come la caserma Cavarzerani. Da queste strutture è previsto il trasferimento del migrante nel minor tempo possibile verso la rete Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), una rete composta da enti locali e associazioni non governative. 

L'articolo 11 del decreto 142 del 2015, la norma che sulla carta avrebbe dovuto dare impulso alla rivoluzione nel sistema di accoglienza, prevede che il richiedente asilo possa essere trattenuto in una struttura temporanea solamente per il tempo necessario al suo trasferimento verso l'unico, grande sistema nazionale di accoglienza. Lo Sprar, appunto, con standard di servizi molto elevati, ma che ha un numero di posti totalmente inferiore alle esigenze. 

In Friuli Venezia Giulia sono in totale 405 per l'esattezza, suddivisi in 11 progetti volti a favorire l'integrazione, l'istruzione e l'assistenza linguistica, psicologica e sanitaria per i richiedenti asilo. In pratica, meno del 10% dei migranti presenti in regione può avvalersi dei servizi Sprar - quelli dell'accoglienza "buona". 

Il sistema Sprar è già saturo, quindi: ulteriori, nuovi arrivi andranno inevitabilmente a ingrossare le fila dei Centri di accoglienza temporanea. 

 

 

Gli effetti di quest'imbuto. "La differenza tra intenzioni e realtà delle cose è tale da paralizzare il sistema", riflette il Presidente dell'Ics Gianfranco Schiavone. "I sistemi emergenziali nascono per tamponare delle emergenze e hanno solo servizi essenziali. Se il richiedente asilo si trova a vivere tutto l'iter in uno di questi centri, non riceve un adeguato percorso di inserimento sociale".

 

 

Le eccezioni regionali. Il sistema emergenziale ha dunque travolto quello ordinario, ovunque in regione o quasi. L'unica realtà in cui il sistema straordinario riesce a garantire standard elevati è effettivamente quello triestino, dove l'ex caserma demaniale di Monrupino (Casa Malala), ristrutturata di recente, può vantare di ampi spazi - anche ricreativi - e offre condizioni di permanenza dignitose nonostante di fatto sia un Cas. Per le persone accolte, dopo un primo periodo di permanenza a Fernetti, si apre la possibilità dell’accoglienza diffusa in normali appartamenti che si trovano in centro città (a parte un paio di eccezioni in cui si fa ricorso ad alberghi). Un sistema definito da Schiavone come "extra-sprar" e gestito da Ics e Caritas. Come dovrebbe essere nelle intenzioni del legislatore. 

Casa Malala resta gestita da Ics e Caritas
Lasorte Trieste 11/10/16 - Fernetti, Casa Malala Yousafzai, Ex Caserma GdF, Rifugiati

A Gorizia e Udine il numero di accoglienze diffuse, secondo Schiavone, è "talmente modesto che le strutture siano di fatto gigantesche bombe sociali nelle quali le persone vengano scaricate e lì rimangono". 

Esistono singolo progetti di eccellenza, ma di quantità molto modesta. A Cormons, per esempio, i 15 posti nei Cas sono distribuiti su tre appartamenti. "La differenza non è la mancanza radicale di esperienze positive, ma l'incapacità a fare sistema". 

Se poi, come succede a Gorizia, chiude la Provincia che è l'ente incaricato della gestione dello Sprar, il quadro locale assume tinte ancora più fosche. 

"Una volta andava nello Sprar chi aveva una professione. Ora con questa emergenza è tutto mescolato, c'è confusione", riferisce una fonte della prefettura isontina. "Al momento chi prenderà in mano lo Sprar è ancora tutto da decidere".

Il piano del Ministero. Finora i prefetti avevano l’obbligo di trovare dei posti ai richiedenti asilo, e nulla impediva loro di sovraccaricare una zona rispetto ad un’altra. Per ovviare agli intoppi del programma nazionale dell'accoglienza, il Ministero dell’Interno ha concordato con gli enti locali di Anci un piano d'azione che prevede la distribuzione dei richiedenti asilo in proporzione al numero di abitanti dei paesi, auspicando così che tutti i comuni aderiscano presto allo Sprar.

Sei profughi nei comuni sotto i 10mila abitanti; 1,5 su mille nelle città metropolitane e, il grosso, 2,5 ogni mille abitanti nei comuni sopra i 10mila abitanti. 

Per incentivare i sindaci, è previsto che le amministrazioni che decideranno di abbracciare la rete Sprar avranno incentivi economici e saranno salvaguardati da ulteriori oneri d'accoglienza. Niente più Cas nei paesi in cui sorgeranno Sprar, insomma: è la cosiddetta clausola di salvaguardia, menzionata nella circolare ai prefetti dell'11 ottobre 2016. 

L'obiettivo di una più equa redistribuzione dell'accoglienza è il grande punto di domanda del 2017: come verrà raggiunto? Dove finiranno i 120 migranti di Fernetti, se a Monrupino sorgeranno centri Sprar? 

"La volontarietà invece dell'obbligatorietà non funziona", conclude Schiavone. "La mia opinione è che l’unico sistema sia quello di arrivare al  trasferimento di funzioni amministrative, ovvero che ogni comuni istituisca un servizio per migranti nell’ambito dei propri servizi socio-assistenziali per i quali lo stato possa assicurare certezza di finanziamento e programmazione a lungo termine. Per far sì che non si gridi allo scandalo, chiamiamola obbligatorietà dei servizi sociali, non dell’accoglienza, ma il concetto è quello". 

L'assessore regionale Torrenti si augura che i comuni facciano sistema. "È dura fare accoglienza più diffusa di quella che abbiamo già", riflette l’assessore regionale alla solidarietà Gianni Torrenti. "Il miglioramento si può ottenere in caso che i sindaci dei comuni ritengano di trovare spazi privati per ospitare alcuni migranti, alleggerendo parzialmente altri centri". La decisione di aderire o meno allo Sprar è però tutta delle amministrazioni locali, in quanto "la Regione non può imporre alcunché". Può solo limitarsi a distribuire aiuti ai comuni molto piccoli, come i circa 2000 euro a migrante stanziati in maniera straordinaria nel 2016 da un fondo di 480.000 euro.
 
Torrenti stima che ogni giorno siano una decina i migranti che lasciano la regione, alleggerendo il processo di saturazione. L’auspicio per l’anno appena iniziato è che la situazione internazionale dia respiro, "per permetterci di avere meno ospiti e trattarli più umanamente", ma anche che i comuni facciano sistema, non accogliendo necessariamente per la notte i richiedenti asilo quanto offrendo loro maggiori possibilità di integrarsi. "Non crediamo che tutti i centri debbano avere dei posti letto. Tuttavia, se si organizzassero insieme come succede a Palmanova (che ospita 36 migranti, n.d.r.), dove i migranti soggiornano ma lavorano nei comuni vicini, allora anche la percezione della popolazione residente sarebbe diversa e migliore. L’idea è che la conduzione di questi progetti non sia delle singole realtà ma delle Uti", conclude Torrenti, "e su questo la Regione potrebbe dare una mano con finanziamenti ad hoc".

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