Migranti dormono in Porto Vecchio a Trieste: «Emergenza sicurezza nei cantieri»

Il sindaco Dipiazza scrive al prefetto: «Sasso contro gli operai, serve mandarli via e un presidio fisso»

Francesco Codagnone
Il bivacco sotto i portali all’ingresso. Foto Andrea Lasorte
Il bivacco sotto i portali all’ingresso. Foto Andrea Lasorte

Il migrante afgano si affaccia oltre le transenne che delimitano i lavori in corso, il profilo riflesso nell’acqua che continua a infiltrarsi nelle trincee aperte dalle pale meccaniche. È incerto se addentrarsi o meno nei cantieri, sembra puntare uno dei magazzini dello scalo.

A poco servono le recinzioni e i cartelli che interdicono l’area. A farlo allontanare è solo il rumore dei cingolati in arrivo. «La zona è molto ambita: li vedi un po’ ovunque che girano, a tutte le ore del giorno e della notte, fuori per strada, dentro gli edifici», racconta uno degli addetti ai lavori. «Ogni stanza ha un gruppo, ognuno si è preso un pezzettino».

Almeno un centinaio

I primi ospiti degli hangar del Porto Vecchio sono loro, i profughi, i senza fissa dimora. «Almeno un centinaio di migranti», stima chi lavora in quell’area, e la loro presenza si è fatta sempre più consistente e complessa nelle ultime settimane, con il Silos chiuso e il parallelo allargarsi dei cantieri, l’ex ostello scout di Campo Sacro a capienza dimezzata e poche altre alternative di accoglienza a bassa soglia.

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Il fenomeno è noto

Il fenomeno è noto alle istituzioni, al Comune che è proprietario dei fabbricati sdemanializzati, alle forze dell’ordine che continuano a intervenire nell’area e alle ditte impegnate nell’infrastrutturazione del viale, i cui operai hanno ormai fatto il callo a lavorare sotto lo sguardo di decine di ospiti non autorizzati. Alcuni edili, poche settimane fa, sono stati aggrediti con barattoli e lattine, una pietra scagliata con forza. «Insostenibile: la situazione è diventata insostenibile, intollerabile», conferma il sindaco Roberto Dipiazza, riferendo di aver inviato una missiva al prefetto Pietro Signoriello per sollecitarne l’intervento. «È evidente – insiste – che le visite delle forze dell’ordine non bastano più: serve istituire un presidio fisso, e mandarli via».

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Tende e coperte 

È vero anche che non tutti i migranti arrivati in Porto Vecchio sono in attesa di una risposta alla richiesta d’asilo o di accedere al circuito di accoglienza. In molti sono stanziali, abitano regolarmente in città anche da mesi, ma faticano a trovare un letto, e hanno scelto gli edifici dello scalo più isolati per non farsi rintracciare dalle autorità. Hanno montato tende e coperte nelle guardiole dei multipiano, allestito piccole cucine e veri propri fortini. Imbrattato le pareti con scritte in farsi e stabilito delle norme verbali per una convivenza non sempre tranquilla. Alcuni hanno paura a entrarci.

L’accampamento in largo Santos

Molti altri sono solo di passaggio, restano in città una notte o due, e preferiscono quindi sistemarsi all’esterno, sotto le arcate monumentali d’ingresso o al massimo al pianterreno dei fabbricati. La tettoia di largo Santos è diventata un piccolo accampamento di fortuna. Soprattutto per le famiglie, perlopiù nuclei di bengalesi e nepalesi, che difficilmente si spingono molto oltre nello scalo. I vecchi hangar non sono un luogo per bambini e tante altre soluzioni non ci sono.

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Il delicato intervento

Il perimetro di azione è delicato. Il passaggio dei migranti e la loro collocazione sono monitorati dalla Prefettura. I magazzini sono del Comune e quattro sono stati acquistati dalla Regione. I cantieri in corso sono in parte finanziati dall’Europa, ma tutti sono eseguiti da ditte incaricate dall’amministrazione municipale. In futuro, terminata la procedura pubblica, i fabbricati saranno alienati, le chiavi passeranno ai privati e i lavori riguarderanno non solo i viali esterni ma sopratutto i vasti locali interni, più difficili da custodire. Migliaia di metri quadrati in penombra, con punti ciechi, nascondigli, piani collegati da scale pericolanti.

Le voci dai cantieri

Tutta l’area è perimetrata da avvisi, divieti di accesso e transenne delle ditte, ma scavalcare le reti non è difficile e battere sessantasei ettari è impossibile. Chi lavora in quella zona testimonia di «almeno un centinaio» di persone non autorizzate che si aggirano nello scalo a tutte le ore del giorno e della notte. Forzano le recinzioni, attraversano le zone di cantiere, entrano e si fermano all’interno degli hangar.

«Il nostro compito non è riprenderli, noi non abbiamo autorità. Ma la maggior parte di loro è tranquilla: stanno in disparte, non ci creano problemi», tiene a precisare uno degli impiegati in cantiere. «Il più delle volte – racconta – vedono che stiamo lavorando, li avvisiamo, e si allontanano da soli. Ma non sono mancate situazioni più complicate...».

Il sasso lanciato contro l’operaio

Il sindaco Dipiazza riferisce di un recente alterco avvenuto all’altezza della Tripmare, tra un capocantiere e un migrante. Invitato a restare fuori dall’area interdetta, questi avrebbe scagliato una pietra di circa un chilogrammo contro il lavoratore, costringendolo ad allontanarsi. Poche ore dopo, altri profughi si sono affacciati della finestre degli edifici più vicini, solo per lanciare barattoli e lattine in direzione di operai e macchinari.

La lettera al prefetto

«Ho scritto al prefetto», conferma Dipiazza, parlando di «emergenza fuori controllo». Il sindaco precisa come le forze dell’ordine attenzionino tutta la zona, più volte i migranti sono stati accompagnati fuori dai vecchi empori, ma i controlli «non bastano». «È evidente – afferma – che non sono sufficienti: serve istituire un presidio fisso attorno a magazzini e cantieri, non farli entrare e mandarli via». Dove? «Non lo so, ma questa situazione – ribadisce Dipiazza – è intollerabile: si aprano le caserme in Friuli, si trasferiscano fuori da questa città».—

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