Migranti a bordo in cambio di soldi. Inchiesta sui vertici di Mare Jonio
TRIESTE Soldi per far salire a bordo i profughi soccorsi in mare. C’è anche il triestino Alessandro Metz, armatore ed ex consigliere regionale dei Verdi, tra gli indagati della Procura di Ragusa per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per violazione alle norme del Codice della Navigazione.
L’inchiesta mira a far chiarezza e ad accertare eventuali responsabilità di rilievo penale su un episodio specifico: il trasbordo di 27 naufraghi, avvenuto l’11 settembre scorso, dalla petroliera danese Maersk Etienne al rimorchiatore italiano Mare Jonio, che opera per conto della Mediterranea Saving Humans. I migranti erano stati fatti poi sbarcare il giorno dopo nel porto di Pozzallo, in Sicilia.
Trentasette giorni prima, dunque a inizio agosto, l’imbarcazione della Maersk aveva soccorso i migranti in mare, tra Malta e Lampedusa, in seguito a una richiesta disposta dalle autorità maltesi. Il cargo era poi rimasto in attesa, per tutto quel tempo, di un punto sicuro in cui far scendere i profughi. A bordo, come raccontano le cronache di quelle settimane, c’erano pure una donna incinta e un bambino. Ma per 37 giorni la nave era rimasta con i naufraghi senza indicazioni.
L’11 settembre la Jonio aveva deciso di prenderli a bordo dopo un sopralluogo sul cargo. «Il nostro team medico li ha trovati in gravi condizioni psico-fisiche», affermava Mediterranea.
Ma secondo l’accusa mossa dagli inquirenti, il trasbordo era avvenuto solo dopo la conclusione di un accordo commerciale tra le società delle due navi. Accordo in virtù del quale la società armatrice della Mare Jonio ha percepito «un ingente somma quale corrispettivo per il servizio reso», viene specificato ancora nella nota.
Sono otto gli indagati. Tra loro figurano alcuni soci, dipendenti e amministratori della società armatrice del rimorchiatore messo in mare dalla ong Mediterranea: oltre a Metz compaiono i nomi dell’ex attivista Luca Casarini, il capo missione del salvataggio Beppe Caccia, ex assessore a Venezia, e il comandante Pietro Marrone, al timone durante le operazioni.
Nell’indagine gli investigatori si sono serviti di intercettazioni, accertamenti finanziari e riscontri documentali.
Le verifiche hanno fatto emergere, stando all’accusa, che il passaggio dei migranti era stato gestito dall’equipaggio della Mare Jonio «senza nessun preventivo raccordo con le Autorità maltesi o con quelle italiane»; un trasbordo «apparentemente giustificato da una situazione emergenziale di natura sanitaria, “documentata” da un report medico stilato dal team di soccorritori imbarcatosi illegittimamente a bordo del rimorchiatore». Così la Procura.
Ieri sono state messe a segno perquisizioni e sequestri nei confronti della società armatrice del rimorchiatore e nei confronti dei quattro indagati in varie one d’Itaia, Trieste compresa. Operazioni su documenti, pc e cellulari, «utili a comprovare i rapporti tra gli indagati, tra essi e la società danese armatrice della Maersk Etienne, nonché di eventuali altre società armatoriali».
«Accuse pesanti – scrive Mediterranea – ma in realtà puntano a colpire la pratica del soccorso civile in mare che Mediterranea promuove dal 2018. La vicenda riguarda il soccorso prestato ai 27 naufraghi della Maersk Etienne che da 38 giorni erano abbandonati in mezzo al mare tra Malta e Lampedusa, a bordo della portacontainer che li aveva tratti in salvo. Fu definito la “vergogna d’Europa” quel disumano abbandono, il più lungo stand-off che si ricordi per dei naufraghi che avrebbero dovuto raggiungere “tempestivamente” un porto sicuro. Mediterranea non si fermerà e continuerà a essere in mare, lì dove i crimini vengono commessi». —
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