Migliaia di sguardi a Srebrenica per seppellire altre 33 vittime
BLGRADO «Qui c’è mio papà, nato nel 1937, eliminato nel massacro dopo esser stato catturato nei boschi attorno a Srebrenica», ha raccontato Islam Mehmedovic, che ieri ne ha inumato i resti. «Non hanno trovato tutto il corpo, ma solo un paio di ossa», ha confidato invece Amira Ramic, anche lei a piangere a Potocari sui resti di un parente. Sono le impressioni raccolte dai media locali sul dramma dei familiari di altre 33 vittime dei massacri di Srebrenica, riconosciute negli ultimi mesi e sepolte ieri al cimitero-memoriale di Potocari in occasione del ventiquattresimo anniversario della strage di 8.372 bosgnacchi per mano delle forze serbo-bosniache al comando di Ratko Mladic. Si è trattato come ogni anno di un evento partecipato, con migliaia di persone, vittime e sopravvissuti, autorità nazionali e straniere, ma senza rappresentanti serbi e serbo-bosniaci. Salme che sono state collocate accanto alle altre 6.610 già tumulate negli anni passati, vittime della volontà di «di distruggere un intero popolo», ha ricordato il membro bosgnacco della presidenza, Dzaferovic, che ha attaccato il presidente in carica, il serbo-bosniaco Milorad Dodik, dicendo che è «difficile» condividere la carica «con chi nega il genocidio».
Potocari dove è stato evidentei che il dolore non si attenua, la memoria non si spegne. Ma non si placano neppure le polemiche attorno agli orribili massacri del luglio del 1995 a Srebrenica, definiti genocidio da più sentenze di tribunali locali e internazionali. Srebrenica che rimane infatti anche una delicata questione politica, che ruota in gran parte attorno alla posizione della Serbia, che a livello istituzionale continua a definire Srebrenica «un crimine orribile», ma non un genocidio, come hanno chiesto nuovamente nei giorni scorsi Ong serbe e altre forze della società civile. Posizione che non è però cambiata quest’anno, con la premier serba Brnabic che aveva anticipato alla vigilia dell’anniversario che non sarebbe andata a Potocari, perché «nessuno mi ha invitata». Per aggiungere, dopo aver ricordato gli attacchi a Vucic nel 2015 a Srebrenica e aver fatto controverse «condoglianze a tutte le famiglie delle vittime in Bosnia», inclusa «certamente Srebrenica», che le sembra inutile «tornare costantemente alle stesse incomprensioni tra noi, ai disaccordi e al passato, invece che guardare al futuro», parole che hanno provocato forti critiche, in particolare sui social. Riconoscere che fu genocidio è però la pre-condizione per la riconciliazione, ha dichiarato ieri il premier bosniaco Denis Zvizdic. Ancora più diretto, l’ambasciatore tedesco a Belgrado, Thomas Schieb. Che ha puntualizzato che «la posizione della Germania e degli altri Paesi Ue è che Srebrenica fu genocidio», in linea con Bruxelles ieri. E Berlino si aspetta «che la Serbia si allinei su questa posizione». —
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