Migliaia di migranti ai confini con la Grecia. La minaccia di Erdogan allarma l’Europa

È crisi umanitaria. Bimbo morto durante un tentativo di sbarco a Lesbo. Crescono i timori nei Paesi lungo la rotta balcanica
Migranti sulla rotta balcanica
Migranti sulla rotta balcanica

Un esercito di disperati, che loro malgrado fanno paura alla Grecia e ai Balcani, usati dalla Turchia come cavallo di Troia contro l’Europa. Sono i profughi e migranti che Ankara continua a “spingere” verso la Grecia, dopo l’apertura delle frontiere volute dal presidente turco, Recep Tayyip Erdogan – una strategia che sta provocando una crisi umanitaria. E che è costata la vita a un bambino, annegato di fronte a Lesbo.

Quanti sono, i migranti e profughi che sperano di passare la frontiera? Circa diecimila sono stati i tentativi di ingresso irregolare durante il weekend, respinti dalle autorità greche anche con le maniere forti sul confine terrestre tra Turchia e Grecia, hanno informato Atene e Ong internazionali. Finora solo «poche decine sono riusciti a superare le barriere» metalliche installate dalla Grecia «o il fiume Evros», ha specificato ieri il quotidiano Kathimerini, che ha parlato però di «migliaia» ancora accalcati in attesa nelle aree di confine tra Grecia e Turchia, almeno 13mila secondo l’Onu, al freddo e praticamente senza assistenza. L’agenzia Ana-Mpa ha confermato la cifra di circa 10mila respinti, una settantina di arrestati per ingresso irregolare. A centinaia continuano intanto a tentare l’attraversamento dell’Egeo, con sbarchi frequenti sulle isole greche, già da anni in emergenza a causa del sovraffollamento degli hotspot, dove a migliaia vivono in condizioni inenarrabili. Solo nel campo di Moria, a Lesbo, sono oggi in 19 mila gli stipati nell’hotspot chiuso, che avrebbe una capacità di tremila, mentre crescono anche la rabbia della popolazione locale e gli assalti contro migranti, volontari e giornalisti da parte di estremisti. Secondo le autorità greche, circa 800 sono gli arrivati sulle isole dell’Egeo dalla Turchia tra domenica e ieri, 160 i salvati al largo di Lesbo. Salvati tra cui non c’è un bimbo morto durante uno sbarco a Lesbo, annegato nell’Egeo, mentre un altro piccolo è stato recuperato ed è «fuori pericolo», ha informato la Guardia costiera ellenica.

Numeri già forti che la Turchia continua nel frattempo a gonfiare per far ancor più paura ad Atene, ai Balcani e all’Unione europea. Ieri mattina il ministro dell'Interno di Ankara, Suleyman Soylu, si è spinto a parlare di «117.677 migranti che lasciano il nostro Paese attraverso Edirne», la provincia turca che confina con Grecia e Bulgaria. Anche Erdogan ha evocato scenari catastrofici, con «milioni» di migranti pronti a dilagare in Europa dalla Turchia, accusando al contempo Bruxelles di non averlo preso sul serio. «Credevano fosse un bluff, ma quando abbiamo aperto le porte sono cominciate ad arrivare le telefonate», ha aggiunto sarcastico il leader turco.

Guerra di numeri a parte, la cosa certa è che la crisi umanitaria è «senza precedenti», ha avvisato il Consiglio d’Europa, con «rifugiati» cinicamente diventati «pedine di interessi geopolitici, ha denunciato il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas. Turchia che «è in difficoltà», ma dissigillare le frontiere «non è una soluzione», ha ammonito da parte sua la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che ha auspicato che si torni a rispettare l’accordo Ue-Turchia del 2016, mentre anche Merkel ha duramente criticato Erdogan. Von der Leyen sarà oggi al confine greco-turco con i presidenti dell’Europarlamento e del Consiglio Ue, per un vertice con il premier greco Mitsotakis, mentre ieri sera il premier bulgaro Borisov ha visto Erdogan.

Telefonate allarmate arrivano da varie capitali Ue, inclusa Budapest. Una, tra il premier Viktor Orbán ed Erdogan, ha convinto l’Ungheria che la Turchia «non può più frenare i migranti» finora ospitati nel Paese, ha comunicato il governo di Budapest. Da qui, nuove misure, draconiane. Oltre a un rafforzamento dei controlli ai confini, l’Ungheria ha infatti deciso di sospendere a oltranza – come la Grecia, che annunciato uno stop per un mese, criticato dall’Unhcr - l’ammissione di richiedenti asilo attraverso le “transit zones”, unica via per entrare legalmente nel Paese. Lo facciamo «per la sicurezza dei 321 rifugiati» rinchiusi nelle zone, ha assicurato Budapest, evocando un incombente pericolo coronavirus collegato ai migranti, molti «da Iran o attraverso l’Iran».

La paura di una nuova crisi migratoria è alta anche in Bosnia, che teme – come la Serbia (il cui presidente Aleksandar Vučić ha detto che «abbiamo forze sufficienti per difendere i nostri confini») – di diventare sempre più “parcheggio” per migranti. E a ragione. Non è un nuovo 2015, ha assicurato il numero uno dell’Oim nel Paese, Peter Van Der Auweraert, ma se le cose cambiassero si potrebbe prevedere «10mila ingressi al giorno», ha stimato Van Der Auweraert alla Tv regionale N1. Timori acuiti pure in Macedonia, dove negli ultimi giorni sono aumentati i fermi di migranti in ingresso dalla Grecia, nascosti in camion o furgoni. Macedonia che, con la Croazia, ha offerto assistenza a Grecia e Bulgaria. In campo anche Frontex, pronta a lanciare una operazione di rapido intervento ai confini greci. —


 

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