«Mia figlia, alcolista a 16 anni e non mi ero accorta di nulla»

La storia di Mara, una mamma che ha subito lo choc di trovarsi in casa una ragazzina che beveva. «Una sera l’ho vista a terra in bagno...»
Di Laura Tonero
Una ragazza fotografata con un bevanda alcolica. ANSA / FRANCO SILVI
Una ragazza fotografata con un bevanda alcolica. ANSA / FRANCO SILVI

«Mia figlia si ubriacava, beveva fino a star male: l’ho scoperto quasi per caso, rientrando una sera da una cena». Mara ha 42 anni e lavora in una casa di riposo. Dallo scorso novembre le è piombato addosso un macigno. Ha scoperto che la ragazzina di poco più di 16 anni, la sua piccola, quella che fino pochi a mesi prima riempiva il diario di segreti e pupazzi, aveva iniziato a bere. A tracannare birra ma anche superalcolici. Fino a star male.

«Ora, aiutati da una psicoterapeuta e dal nostro medico di famiglia, stiamo facendo un percorso che permetta a tutte e due di ricominciare una vita normale – spiega la donna disperata – ma gestire la situazione non è stato facile. Mi sono sentita una madre fallita, mi sono resa conto di non avere capito nulla di mia figlia e di aver sottovalutato troppi segnali».

Eppure, malgrado la separazione dei genitori e un padre che vive lontano, lei sembrava una ragazzina normale. Studentessa di un liceo triestino, voleva però restare fuori fino all’alba, voleva fare l’alternativa pretendendo certe libertà. «L’ho sempre accontentata in tutto – racconta la madre – anche per riempire il vuoto lasciato da quella famiglia modello nella quale è nata e che da cinque anni non c’è più. Certi suoi atteggiamenti strafottenti, impulsivi, certi cambiamenti di umore li leggevo come tipici comportamenti da adolescente».

Una testimonianza, quella di Mara, che mira a far drizzare occhi e orecchie a tanti genitori. «Non dormite mai sugli allori – sottolinea – non abbassate la guardia, dedicate almeno un momento ogni giorno a guardare negli occhi vostro figlio per chiedergli “Come stai?”».

Quest’estate, per allontanare la ragazza dalle vecchie frequentazioni, madre e figlia si sono trasferite dai nonni in un’altra città della regione. «Ora ricomincia la scuola, rientriamo a Trieste – dice la donna – sono terrorizzata che possa reincontrare certe persone».

Tutto è iniziato nell’estate del 2011, quando la ragazza ha preteso di iniziare a uscire la sera per andare a ballare. «Una sera al Cantera, ogni tanto alla Diga – racconta la mamma – e visto che ci andava con compagni di scuola, figli della Trieste bene, non mi preoccupavo. Mi sembrava giusto darle fiducia».

Poi, lo scorso autunno, la sconsolante scoperta. «Rientrando la sera mi evitava e correva a dormire – spiega la madre – ma io ho sempre letto questo atteggiamento come quello tipico di una ragazzina che ha le sue storie, le sue fissazioni e che corre a mandare messaggini alle amiche e a mettere le foto della serata su Fecebook». Ma una sera rincasando l’ha trovata ubriaca, farfugliante, distesa in bagno. «Pensavo avesse avuto un malore – ricorda la donna – poi avvicinandomi ho visto che aveva vomitato e che puzzava di alcol. Ho chiamato un amico medico. Dico la verità, mi sono vergognata».

Dopo un paio d’ore la giovane stava meglio, era di nuovo in grado di parlare. «Senza difese, bisognosa d’aiuto e colta sul fatto non ha potuto negare l’evidenza – sottolinea la madre – ma solo nei giorni successivi, a mente fredda, ci siamo sedute attorno a un tavolo e abbiamo affrontato l’argomento».

È emerso così che quello non era stato un episodio isolato, ma una triste puntata di un lungo film che durava da mesi. «Mi ha riferito che lo fanno tutti i suoi amici – svela la madre – ma che gli altri non stanno subito male». «Io sono sola – aggiunge – lavoro per garantire a mia figlia un presente e un futuro dignitoso, ma non mi sono mai resa conto che un paio di scarpe in meno e un paio di ore in più passate a parlare e a divertirmi con la mia bambina sono la formula per un’adolescenza meno a rischio».

La donna rivolge un appello: «Ho deciso di raccontare questa storia per stimolare altri genitori a guardare i loro ragazzi negli occhi – afferma – la società non ci aiuta e ora quando giro per strada e vedo quei giovani ciondolanti che si trascinano con le bottiglie in mano tra piazza Goldoni e piazza Oberdan mi si stringe il cuore».

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