«Mi servono soldi per curarmi»: truffa ai danni di due sacerdoti
TRIESTE Un giovane di origine kosovara è stato condannato per truffa ai danni di due sacerdoti della Diocesi triestina. Era riuscito a “intascare” nell’arco di due anni una corposa somma di denaro muovendo a pietà per asseriti problemi di salute. La pena disposta è di tre anni e dieci mesi.
La carità cristiana è tendere la mano a chi si trova in difficoltà. È l’accoglienza di un abbraccio che accompagna e rincuora. Soprattutto quando di mezzo c’è la salute. Come negare un aiuto a un essere umano che non si può permettere le cure? Con questa emergenza l’uomo aveva bussato alla porta delle parrocchie per chiedere un sostegno economico al fine di fronteggiare la propria precaria condizione, non essendo in grado di provvedervi autonomamente. L’uomo ha bussato e gli è stato aperto, ha raccontato la sua difficile situazione ed è stato ascoltato. Ha invocato aiuto e gli è stato dato.
Fino a scoprire però che in realtà i sostegni economici ricevuti non erano serviti per accedere alle cure, per comperare le medicine, piuttosto che seguire le terapie per le quali aveva spiegato di aver necessità. Lo straniero è così finito davanti alla giustizia. Accusato di truffa aggravata, proprio per la missione sacerdotale di cui sono investite le due vittime. L’altro giorno, in Tribunale a Trieste, il giudice Guido Patriarchi ha pronunciato la sentenza: tre anni e dieci mesi e 50 mila euro di risarcimento. Una condanna emessa al termine del processo col rito abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo della pena. A rappresentare la difesa è stato l’avvocato Gianluca Rossi, mentre a sostenere i due sacerdoti della Diocesi triestina è stato l’avvocato Franco Ferletic.
Gli asseriti problemi di salute, insomma, non erano tali: ancorché non si trovasse in ottime condizioni fisiche, quel denaro non è stato speso per gli interventi medici di cui aveva dichiarato il bisogno ai due ecclesiastici, sulla cui identità è stato chiesto il riserbo. Secondo quanto s’è potuto apprendere, trattandosi di un rito abbreviato a porte chiuse, l’uomo si sarebbe presentato una prima volta davanti ai due sacerdoti che gli avevano accordato l’aiuto richiesto. Poi i contatti successivi erano stati per lo più telefonici, anche perché il kosovaro risiede al di fuori del Friuli Venezia Giulia.
I soldi per le cure mediche venivano versati nella Postepay dell’uomo. Versamenti ripetuti, tanto da raggiungere un importo di una certa consistenza. Il legale di parte civile ha riferito di una cifra complessiva «importante», raggiunta nell’arco di due anni, dal 2016 fino al 2018. L’avvocato difensore ha sostenuto invece che il proprio assistito non godesse proprio di ottima salute, e che pertanto non fosse possibile dimostrare che il denaro ricevuto non fosse stato utilizzato proprio per le cure mediche. Sta di fatto che il gup ha pronunciato una sentenza chiara. Il caso di Trieste non è l’unico: truffe ai danni di sacerdoti con simili modalità sono avvenute anche in altre parti d’Italia.—
Riproduzione riservata © Il Piccolo