Mensa dei Cappuccini blindata a Gorizia: «Blasotti era il frate della porta accanto»
Servizio a una ditta esterna e convento sotto choc per la morte del religioso. Don Qualizza: «Un uomo di grande fede»
La consegna per asporto del pranzo dopo la chiusura della mensa (Bumbaca)
GORIZIA La solidarietà non si ferma mai. Soprattutto adesso, con tante persone in difficoltà e che non riescono a mettere più nulla da mangiare sul tavolo. La mensa dei poveri dei frati Cappuccini, comprensibilmente “blindata” per l’emergenza coronavirus, continua la sua attività. Ma in maniera diversa. Anche nel giorno in cui si piange per la scomparsa di padre Aurelio Blasotti, 72 anni da compiere a giugno, che ha perso la dura battaglia con il Covid-19 quando pareva ormai averla vinta.
Ieri mattina, si respirava un’aria particolare in piazza San Francesco. Con i poveri che, puntuali alle 11.30, si sono radunati nel piazzale davanti alla chiesa dei frati, per il pasto. Da domenica 22 marzo, il servizio è stato, di fatto, momentaneamente rivisto. La mensa non è più accessibile e non sono più i Cappuccini, con l’importante supporto dei volontari, a cucinare e servire i piatti nella sala da pranzo. È, infatti, la Caritas a sopperire, acquistando trenta pasti completi dalla ditta “Digma service”, che fornisce anche il Nazareno, e li distribuisce da asporto ai poveri. E, ieri mattina, erano in tanti ad aspettare. Tutti distanziati uno dall’altro, tutti in attesa di un piatto per poter pranzare e riempire lo stomaco. Sono circa 28 mila i piatti distribuiti annualmente. Italiani, stranieri, residenti, richiedenti asilo, uomini e donne (anche se poche, ma ci sono) i commensali che ogni giorno si presentano davanti alla porta della mensa. Qui ricevono non solo un piatto di cibo ma un gesto di umanità, di vicinanza e comprensione, senza giudizi e pregiudizi di fondo.
Ma quella di ieri, dicevamo, è stata una giornata particolare. Perché padre Aurelio Blasotti, «il frate della porta accanto», era davvero apprezzato e benvoluto dalla comunità. Era a Gorizia da quindici anni e aveva la “militanza” più lunga nel convento di piazza San Francesco. E un commosso ricordo viene tracciato da don Maurizio Qualizza che conosceva padre Aurelio, da più di venticinque anni. «Si potrebbe sintetizzare la figura di padre Blasotti con due parole: Uomo e Cappuccino. Uomo per la sua concretezza, con lo sguardo verso il cielo ma con i piedi ben piantati a terra nel suo modo di approcciare l’altro, l’umanità trasparente, la concretezza dei suoi discorsi, scevro di falsi spiritualismi. Cappuccino per la sua umiltà. Ha dato la vita come vice postulatore per la causa di beatificazione di Concetta Bertoli, la Crocefissa di Mereto, ma annunciò le sue dimissioni da questo incarico con grande amarezza dicendo queste parole: “Per me la causa non è sentita in Friuli, mi convinco sempre più di questo, non ci sono idee, non ci sono pellegrinaggi, non c’è fede”. E molti lo colsero come un suo fare strano perché padre Aurelio non era di quelli che mollavano».
«Lui - ricorda ancora don Qualizza - parlava con il cuore in mano ai suoi fratelli, ai francescani secolari e a tutti i fedeli che bussavano alla porta del suo confessionale ricevendo parole di consolazione, speranza, perdono. Il coronavirus ci ha portato via una grande persona, non un personaggio ma un uomo di fede dal cuore d’oro». —
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