Menia abbandona l’esilio e lancia un nuovo partito

A due anni dal flop di Fli, l’ex uomo forte della Destra cittadina ci riprova con “Italiani di Trieste”
Roberto Menia
Roberto Menia

A volte, contro ogni previsione, ritornano. E pazienza se la rentrèe, che arriva a quasi due anni di distanza da una bruciante sconfitta elettorale costata l’esclusione dal Parlamento e il naufragio del progetto politico di Futuro e Libertà, susciterà commenti al vetriolo da parte di tanti ex compagni di viaggio. La sfida per le amministrative di Trieste, evidentemente, è troppo ghiotta per restare ad osservare dai box. E il rischio di diventare bersaglio di ironie taglienti appare meno temibile della prospettiva di finire definitivamente nel dimenticatoio.
Ecco allora la scelta di Roberto Menia di calcare di nuovo la scena, lanciando un movimento, o meglio «un’associazione politico-culturale», dal nome che è già tutto un programma: “Italiani di Trieste”. Un laboratorio che, nelle intenzioni dell’ex uomo forte della Destra triestina, dovrà ridare voce alla «Trieste patriottica che non guarda solo al passato, ma vuole creare futuro».
Difficile capire al momento quali uomini e quali forze Menia conti, o quantomeno speri, di aggregare attorno alla nuova creatura. Quel che è certo è che, a suo giudizio, la “fame” di politiche capaci di mettere di nuovo al centro la nazione esiste eccome, al pari del bisogno di ricompattare le tante anime del centrodestra, segnate da anni di diaspora dolorosa, e poco fortunata in termini elettorali. Per questo, mette nero su bianco Menia nel manifesto fondativo del movimento - che “debutterà” sabato sera in un locale di via Diaz -, la nuova associazione seguirà una rotta ben precisa. «In una città che appare oggi stanca e smarrita, provata dalla crisi economica e dall’incapacità di compiere scelte strategiche, “Italiani di Trieste” vuole dimostrare che si può tornare ad avere fiducia e speranza in una politica che difenda l’onore e il futuro del popolo italiano, impegnandosi a rilanciare una visione pragmatica, costruttiva per il capoluogo giuliano e per la sua gente».
Lo spirito insomma è quello di attingere alla «tradizione nazionale italiana», per trovare le giuste risposte alle sfide di oggi. Il futuro del porto, prima di tutto. «Trieste - chiarisce ancora il manifesto - è città di mare: passato e futuro legano il suo sviluppo al mare e alle diverse economie legate ad esso. Si deve quindi investire sulle infrastrutture e sui collegamenti, sviluppare i traffici, i commerci, la nautica e il turismo blu». E poi, chiarisce senza tanti giri di parole l’ex sottosegretario (l’ultimo espresso da Trieste, nel lontano 2008), «bisogna abbattere il muro del Porto Vecchio». Un messaggio forte e chiaro rivolto a quanti invece, nel panorama politico cittadino, remano in direzione opposta.
Immancabile nel documento fondativo anche un riferimento ai dramma del confine orientale. «Trieste - è l’ultimo passaggio del programma politico - è capitale dell’esodo istriano, fiumano e dalmata. Non solo ricordo né sordo rancore ma rispetto, attenzione e giustizia. Per tornare a seminare italianità nell’Europa adriatica».
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