La nuova vita del Quadrilatero di Melara: così l’ex ghetto di Trieste sta rialzando la testa
Il complesso popolare sta rinascendo grazie a iniziative che puntano a rafforzare il senso di comunità
C’è chi, tra i turisti, la definisce «un’astronave atterrata in città». I triestini oscillano dal neutrale Quadrilatero a definizioni meno gentili: Alveare, Termitario, Alcatraz, Casermon, Fort Apache... I soprannomi riflettono però l’intento comune dei progettisti triestini coordinati da Carlo Celli: realizzare l’Unité d’Habitation di Le Corbusier, una radicale “macchina per abitare” completamente autosufficiente. E questa sensazione d’alterità, di una cittadella dentro la città, è stata nondimeno raggiunta, perché caserme e carceri sono luoghi caratterizzati proprio dalla separazione dal nucleo cittadino.
Edilizia novecentesca
Collocata in una tradizione di architettura popolare che affratella Laurentino 38 e il Corviale di Roma, le Vele di Scampia e lo Zen di Palermo, Rozzol Melara rappresenta il canto del cigno dell’edilizia popolare novecentesca, l’ultimo grande tentativo di realizzare nuove unità abitative in massa da parte dello Stato: non a caso si colloca a Est, incarnando l’ultima espansione edilizia della città pubblica su larga scala verso oriente.
La nascita
Il complesso di Rozzol Melara nacque nel 1964 quando, a seguito dell’approvazione di un piano di zona ex legge 167/62, si pianificò di costruire nella zona all’epoca aperta campagna un insieme di edifici popolari: casette con giardino, piccoli grattacieli e così via. Il lotto, di circa 11 ettari, venne poi assegnato all’Iacp di Trieste che prescrisse di “addensare gli edifici”. A partire da questa semplice direttiva un battaglione di 29 ingegneri e architetti coordinato da Carlo Celli progettò e realizzò tra il 1969 e il 1982 il complesso odierno.
Le forme
La struttura si presenta come un massiccio blocco, a forma di quadrilatero: due corpi di fabbrica a forma di L connessi da un reticolo di ascensori, scale e percorsi coperti. Le forme, caratterizzate da una media di 14 piani per lato, si protendono dal ciglione carsico sostenuti da titanici “pilotis” di 15 metri di altezza. Il materiale principe è il cemento armato, qui esposto nella sua forma più grezza: béton brut che si fa pietra, che lasciato grezzo valorizza la geometria del complesso.
Costruzione anti-individualista
Melara in tal senso tutt’oggi rifiuta di assoggettarsi a una facile definizione: la costruzione è anti individualista, perché rigetta il modello suburbano delle villette con giardino, preferendo un’unica costruzione che domina su un colle selvaggio; le dimensioni stesse del progetto rifiutano il ruolo marginale che si iniziava a riservare all’edilizia popolare, oggigiorno infatti limitata a restaurare qualche appartamentino qui e lì; e infine recuperava il modello della grande casa con la corte interna, stavolta trasformata in una piazza cittadina.
Un pizzico di follia sessantottina
C’è anche un pizzico di follia sessantottina nel progetto, perché quando s’iniziava a pubblicizzare Melara circolavano, come racconta il sociologo Raimondo Strassoldo, «opuscoli informativi vagamente ispirati al partecipazionismo ecologico, all’edonismo hippie e simili schemi, dove Rozzol Melara è raffigurata in fumetti alla Crepax come luogo di grandi feste collettive e di piacevoli attività narcisistiche».
La missione sociale di Melara era però, come l’intera “rigenerazione sociale dal cemento”, calata dall’alto: muoveva dall’assunto discutibile di un determinismo ambientale volto a creare una comunità attraverso l’architettura.
Effetto opposto
Molte delle scelte compiute generarono l’effetto esattamente opposto: i colori per le diverse ali introdussero una ghettizzazione nel ghetto stesso; e fin dai primi anni il senso di comunità appariva frammentato. Un’indagine del 1982 rivelò come il 61% degli abitanti di Melara trovassero difficile fare amicizia nel Quadrilatero; e il 90% trovava sgradevole il cemento grezzo.
Il senso di comunità
Oggigiorno proprio il senso di comunità, assente nell’indagine del 1982, tiene invece insieme il complesso di edifici, attraverso un vivo associazionismo e alla biblioteca Lina Marii Marinelli. Non a caso Rozzol Melara e le sue case popolari sono diventate punto di riferimento anche per film e sceneggiati televisivi. —
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