Medico e 3 infermieri del Pronto soccorso di Cattinara in quarantena dopo la visita a un infetto

TRIESTE. Un medico del Pronto soccorso di Cattinara è in quarantena a casa. E così tre infermieri dello stesso reparto. La decisione, che in un primo momento sembrava dover investire un totale di una quindicina di operatori (un intero turno), è stata presa in via precauzionale dai vertici dell’Asugi dopo che tanto il medico dell’astanteria quanto gli altri tre addetti ospedalieri sono entrati in contatto ravvicinato con il tecnico informatico di 48 anni. L’uomo aveva febbre a 38 e mezzo e diarrea. Ed è risultato positivo al primo tampone del coronavirus. Si attende ora l’esito del secondo test. Nel frattempo è stato ricoverato al reparto Infettivi del Maggiore (è il secondo paziente in ospedale, l’altro è Gabrovec). Non è in gravi condizioni.
L’uomo, che nei giorni scorsi si era recato in Lombardia per motivi professionali, aveva la febbre già da venerdì. Si è sentito male (dolori addominali) nella notte tra lunedì 2 e martedì 3 marzo. Attorno alle 3.30, dalla sua abitazione di Trieste, ha chiamato il 112. I sanitari dell’ambulanza quando sono entrati a casa sua, immaginando di trovarsi dinnanzi a un possibile caso di coronavirus, hanno usato mascherina, guanti e altre precauzioni. Poi hanno portato il paziente al Pronto soccorso di Cattinara. Lì però il quarantottenne non è stato subito sottoposto al tampone. L’hanno assistito prima che lui comunicasse di essere stato in Lombardia. Solo successivamente l'uomo ha potuto specificare di essere entrato in contatto con un suo amico risultato infetto: della positività di ques'ultimo, peraltro, ha saputo solo dopo l'arrivo a Cattinara, quando l'amico lo ha chiamato al cellulare per comunicarglielo.
Il protocollo per l’individuazione dei casi “sospetti”, infatti, prevede anche questo tipo di accertamento: in altre parole i soli sintomi non sono sufficienti per innescare la presa in carico e quindi il test; il criterio clinico va insomma associato a quello “geografico” (epidemiologico). Solo la somma dei due aspetti giustifica l’intervento sanitario per il coronavirus. Il tecnico informatico in un primo momento è stato quindi trattato come un normale paziente.
Da quanto risulta il quarantottenne – a cui comunque è stata fatta indossare una mascherina – dopo il “triage” è stato visitato dal medico del Pronto soccorso. Il dottore, proprio perché non sono scattate le profilassi, non ha usato particolari precauzioni: ha indossato solo i guanti, analogamente agli infermieri. Il paziente è stato poi sottoposto ad altri esami: in Cardiologia (viste le patologie pregresse), e in Radiologia. È passato inevitabilmente di reparto in reparto.
Il caso è stato considerato in modo diverso in un momento successivo, vale a dire quando l’uomo è stato raggiunto telefonicamente da un amico incontrato nei giorni precedenti in Lombardia. «Volevo dirti che sono positivo al coronavirus», si è sentito dire il quarantottenne al cellulare, mentre aspettava a Cattinara.
L’uomo ha informato il personale che lo stava visitando. Che, a quel punto, ha dato il via libera per il tampone. Questo del «contatto stretto» con un possibile «caso sospetto», recita il protocollo, è l’altro criterio di allarme che rende necessario il test. Così è stato. E il risultato per il quarantottenne non si è fatto attendere: positivo.
Nel frattempo, come detto, il paziente si era spostato in vari ambienti ospedalieri. Ed era già stato avvicinato dagli addetti sanitari. La direzione ha infatti stilato una lista del personale con cui il contatto è stato diretto.
Di qui la decisione di mettere immediatamente in quarantena il medico del Pronto soccorso e i tre infermieri. Da quanto risulta dovranno fare il tampone. Ma la direzione del 118 ha dovuto prendere anche altre misure straordinarie: nelle ultime ore il personale che lavora nelle ambulanze ha ricevuto una mail che dispone l’obbligo di «applicare la mascherina chirurgica a tutte le persone prese in carico per interventi di soccorso».
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