Mazzette in Provincia per le assunzioni
Si chiama Livio Boccato e ha 64 anni. Fino a pochi mesi fa lavorava come dipendente della Provincia di Trieste allo sportello unico per l’immigrazione che si trova in via Sant’Anastasio. È finito nei guai per aver intascato mazzette per pilotare le richieste di assunzione di lavoratori extracomunitari.
Secondo il pm Pietro Montrone, che ha chiesto il suo rinvio a giudizio al giudice Luigi Dainotti, Boccato - che era addetto all’istruttoria delle pratiche relative alle istanze di rilascio dei nulla osta per l’assunzione di stagionali - ha concordato con due coniugi tunisini, Naima e Ben Alì Samara, il pagamento di 2mila euro per favorire un’assunzione specifica. Non solo. Sempre secondo l’accusa l’ex funzionario della Provincia ha ricevuto dai due coniugi tunisini altri 4.500 euro.
In particolare, come emerso dalle indagini della Guardia di finanza, i 2mila euro versati dai Samara sono serviti ad “aiutare” il rilascio del nulla osta a una loro parente. Dagli accertamenti degli investigatori è emerso che quell’assunzione nell’ambito del decreto flussi del 2010 era stata formalmente richiesta da Luigi Russo, 69 anni, volontario della Caritas all’epoca dei fatti e padre del senatore del Pd Francesco Russo. Nella vicenda anche i due coniugi tunisini, assistiti dall’avvocato Maura Resciniti, sono indagati per concorso in corruzione. Boccato, in pensione da qualche tempo, è invece difeso dall’avvocato Giovanni Borgna.
Il caso delle mazzette allo sportello lavoro fa parte di una maxi-inchiesta coordinata dal pm Montrone che si è articolata in diversi filoni riguardanti gli ingressi irregolari di cinesi, bengalesi e nordafricani. Nell’ambito di quella maxi-inchiesta è anche spuntato un vasto giro di prostituzione. Le indagini sono iniziate nel 2011 esaminando la posizione fiscale di alcuni titolari di attività commerciali triestine che risultavano di fatto non più operative ma che richiedevano ugualmente appositi permessi per far entrare in Italia lavoratori da impiegare però solo sulla carta. Società inattive o con una conclamata passività dedite alla ristorazione, all’edilizia o alla locazione immobiliare che chiedevano di assumere stranieri per ottenere permessi di soggiorno.
Nei fatti, però, gli stranieri che arrivavano a Trieste venivano avviati al lavoro nero in attività sparse in Friuli Venezia Giulia o in fabbriche clandestine in Toscana. Nel mese di aprile dello scorso anno era stato condannato a tre anni e 8 mesi, Cesare Bossi, 55 anni perché, pur essendo senza partita Iva, aveva svolto l’attività professionale di commercialista occupandosi delle pratiche relative alla concessione dei permessi di soggiorno illegali. In quella circostanza due coniugi tunisini, Hatem e Naima Samara, erano stati condannati a 4 anni e 30 mila euro di multa.
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