Maxi-indennizzo per la morte da amianto
La sentenza è del 19 marzo, giorno della festa del Papà. La più crudele delle coincidenze per i figli di Giovanni Zeleznik, Roberto e Raffaella, che assieme alla madre Elisea tre giorni fa si sono visti riconoscere dal Tribunale di Gorizia il diritto a un maxi-risarcimento di 633mila euro. Perché loro, un padre, non ce l’hanno più e per questo nel 2012, assistiti dagli avvocati Giovanni Adami e Sabrina Colle, si erano rivolti a un giudice.
Il 13 gennaio di quattro anni prima Giovanni Zeleznik, figlio di quel Ciso Zeleznik che a Monfalcone fece la storia del calcio, era stato strappato all’affetto dei familiari da un male che per chi abita qui è un verdetto senza possibilità di appello: mesotelioma pleurico; il triste epilogo di una vita spesa allo stabilimento navale di Panzano, dove Nino (com’era chiamato) aveva cominciato a lavorare, appena maggiorenne, nel 1964. Uscendovi poi, come tutti, da pensionato, nel 2000.
Ebbene quel decesso avvenuto a soli 61 anni, per il giudice del lavoro di Gorizia Barbara Gallo, ha avuto un’origine professionale: «Nei cantieri - così nella sentenza - Zeleznik ha subìto un’esposizione all’amianto tutt’altro che trascurabile dal punto di vista quantitativo, perlomeno nei primi 12 anni e mezzo di lavoro, visto che la prima diagnosi del mesotelioma risale al novembre 2006, ossia a 30 anni dal 1976. Il che costituisce un tempo di latenza assolutamente compatibile tra l’inalazione e l’insorgenza della patologia».
Il medico legale aveva quantificato la misura del danno biologico temporaneo al 100 per cento in 11 mesi, e all’80 per cento in 4 mesi, e aveva definito il grado di sofferenza del paziente «di gravissima intensità», cioè il più elevato della scala. Cruciali le testimonianze rese dai colleghi di Zeleznik: tutte univoche nel confermare le condizioni di totale esposizione all’amianto in cui erano stati costretti a lavorare almeno fino alla fine degli anni ’70.
«Troppo poco - ancora il giudice - sarebbe stato fatto per eliminare o almeno ridurre sensibilmente l’inalazione di polveri negli ambienti a bordo nave dello stabilimento di Monfalcone». E giù l’elenco di «minime misure precauzionali» che l’azienda avrebbe potuto e dovuto adottare: dall’installazione di aspiratori all’imposizione agli operai dell’uso di mascherine filtranti. Carenze che hanno così configurato la «colpa specifica» a carico del cantiere, per la violazione delle norme, nella causa avviata tre anni fa dai legali. 633mila euro i danni complessivamente quantificati a favore della vedova Elisea Marinig e dei due figli, come diritto ereditario e proprio.
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