Maxi causa per danni ai vertici della Curia di Trieste

Risarcimento da 3 milioni di euro chiesto dalla ditta veneta a cui era stata affidata la realizzazione di impianti energetici
Il Seminario vescovile
Il Seminario vescovile

TRIESTE «Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora», scrive il pontefice nella sua enciclica «Laudato si’». La curia di Trieste doveva presentirne lo spirito quando, nel 2013, decise di abbattere i consumi energetici delle sue strutture ricorrendo alle ultime tecnologie. Peccato che poi abbia rinunciato all'idea, e che la società trevigiana incaricata del progetto abbia trascinato in tribunale due enti vescovili triestini, con una richiesta di danni complessiva per quasi 3 milioni, tra spese sostenute e soprattutto mancati guadagni ipotizzati. Una posizione che la difesa della curia ritiene inaccettabile, sostenendo come in realtà non esistesse alcun progetto finanziabile presentato dalla stessa impresa incaricata, con tanto di certificazioni “terze” del Politecnico di Milano che ne attestano l’inadeguatezza.

Ma andiamo con ordine. L'atto di citazione presentato da Christian Fornasier sintetizza la vicenda dal punto di vista del denunciante, i trevigiani del gruppo Progenia. Nel 2013, vi si legge, vi fu un primo avvicinamento fra l'azienda e l'ente Seminario vescovile di Trieste. L'obiettivo era la realizzazione di un impianto per la riduzione dei consumi energetici. Dopo le attività preparatorie, che Progenia indica in «sopralluoghi, attività di formazione e informazione» e altro, si arriva all'ipotesi di un gassificatore a biomasse, per il quale l'azienda compie ulteriori «approfondimenti». Si legge: «Dopo quattro mesi di intenso lavoro, il progetto per la fornitura di un gassificatore a biomassa comprensivo di microgeneratori a Syngas per un prezzo di Euro 4 milioni 630mila circa più Iva incontrava immediatamente il favore del Seminario, il quale sottoscriveva, per accettazione, la proposta contrattuale (...) riscontrando il successivo placet della Santa Sede».

Nel contratto si prevede l'inizio della ricerca di finanziamenti: «A tal fine, il Seminario si rivolgeva inizialmente alla Banca Friuladria Credit Agricole chiedendo ed ottenendo, stante l’alta specialità anche del progetto finanziario, il necessario ausilio tecnico di Progenia, la quale aveva già rapporti di lavoro con il predetto istituto di credito». Si avvia così una fase di lavoro che Progenia descrive come molto intensa. Nel 2014 si concorda, in seguito a contatti con la banca, che è meglio che la richiesta di fondi provenga da due enti, per cui al Seminario si aggiunge l’Ente Chiesa Cattedrale di San Giusto. Il progetto quindi si sdoppia, e si pensa a due impianti. Progenia, si legge, mette in campo la complessa fase di progettazione e nel luglio del 2014 la banca si dice pronta a finanziare i lavori. Il contratto, specifica il querelante, cessa di validità soltanto «in caso di diniego definitivo di finanziamento di almeno tre diversi istituti tra i quali anche almeno uno degli eventuali segnalati da Progenia srl».

Mancano gli ultimi adempimenti per i fondi quando, raccontano i trevigiani, l'atteggiamento dei committenti si fa «decisamente ambiguo»: diventano «sempre più inspiegabilmente timorosi nel procedere con l’investimento e refrattari a qualsiasi attività». Per farla breve, la procedura si arena e la banca chiude il rubinetto. Secondo Progenia ciò avviene perché il committente ha cambiato idea e ha mandato all'aria il tutto, secondo la difesa degli enti curiali ciò avviene perché fino a quel momento la società trevigiana non aveva realizzato alcunché.

Quel che è certo è che l'azienda ha chiesto danni per mancato reddito pari a un milione e 56mila euro all'Ente Chiesa Cattedrale e un milione 514mila euro al Seminario, oltre a 220mila euro circa per tutte «le prestazioni eseguite». Dice l'avvocato di Progenia Christian Fornasier: «La prima udienza del 3 dicembre si è risolta con il rigetto dell'eccezione di competenza territoriale sollevata dagli avvocati degli enti diocesani triestini e dunque il procedimento resta in capo al tribunale di Treviso. La prossima udienza si terrà a gennaio 2017. Il tema è quello di un'azienda che ha lavorato per un anno e mezzo ed è rimasta senza nulla in mano».

Diametralmente opposto il parere dei legali degli enti vescovili, gli avvocati Giovanni Di Lullo, Andrea Polacco e Alberto Polacco. Spiega quest'ultimo: «Ci troviamo di fronte a persone (Progenia ndr) che non hanno fatto assolutamente niente dal punto di vista tecnico, progettuale e amministrativo. Il mancato finanziamento della banca si è verificato perché i riscontri dei nostri clienti avevano certificato quanto sto dicendo». In una prima fase di contraddittorio, dice Polacco, «abbiamo rigettato richieste di pagamento per 400mila euro. Dopodiché hanno deciso di far causa e aumentare di molto la richiesta. Voglio specificare che le condotte dell'azienda in questa storia sono ora al vaglio della Procura della Repubblica, ma non entro ancora nel merito». «A parte il fatto che la causa è rivolta precisamente non alla Curia bensì al Seminario di cui sono rettore - osserva a sua volta monsignor Pier Emilio Salvadè, vicario generale della Diocesi - ci siamo ritirati perché alla fine non esisteva un progetto, non c’era nulla che potesse essergli compatibile, prova ne è che anche tre banche hanno declinato l’ipotesi di fornire il finanziamento». Starà al giudice, quello terreno prima e Quello celeste poi, stabilire dove sta la ragione.

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