Mauro Calligaris: «Quel safari in Kenya col giovane Obama»
TRIESTE. Capita spesso, nel corso di un viaggio, che le nostre vite si incrocino con quelle di altre persone, magari di lingua e cultura diverse, con le quali condividi avventure, risate attorno a un fuoco e momenti unici, ma sempre con la consapevolezza che, una volta finito quel viaggio, non le rivedrai mai più.
Salvo poi sorprendersi, magari anni o addirittura decenni dopo, a ripensare a loro, a dove saranno in quel momento, a cosa saranno diventate. Facile allora immaginare lo stupore - per non dire l’incredulità - del 59enne triestino Mauro Calligaris quando, alcuni anni fa, ha scoperto che quel simpatico 27enne americano con il quale nel lontano 1988 aveva trascorso lunghe serate a dibattere di politica attorno a un falò durante un avventuroso safari in Kenya, stava per diventare presidente degli Stati Uniti d’America. Il primo afroamericano della storia.
«Io lo avevo conosciuto solo come Barack, il cognome Obama non mi diceva molto - ricorda Calligaris, ex funzionario dell’Ictp ora in pensione, con un passato da calciatore e giramondo -. Averlo visto in tv 20 anni dopo, durante un servizio nel quale presentavano i candidati alla presidenza Usa, è stato un autentico choc, anche se non ho realizzato subito la portata della notizia. L’ho fatto solo qualche giorno dopo, vedendo la reazione entusiasta di amici e colleghi al mio racconto». Un racconto che ha deciso di rendere pubblico solo ora, dopo averlo tenuto quasi nascosto, per una sorta di pudore, in tutti questi anni.
Dev’essere stato difficile credere che quel giovane saccopelista che dormiva nella tenda accanto alla sua, senza alcun tipo di comodità («in quegli anni i safari non erano organizzati a misura di turista come oggi, era un’esperienza forte, “verace” oserei dire: non avevamo docce né comfort» racconta Calligaris) sia poi diventato uno degli uomini più potenti al mondo.
«Io avevo 31 anni ed era già la quarta volta che andavo in Kenya, ma per Obama era il primo viaggio nella terra che ha dato i natali a suo padre, un’esperienza che lo ha segnato profondamente perché lo ha portato alla scoperta delle sue radici e della sua famiglia paterna», spiega il triestino.
A far incrociare i loro destini in quel lontano 1988 era stata un’agenzia locale che organizzava safari fotografici nel parco nazionale Masai Mara. E così Calligaris si è trovato a viaggiare su un pullmino assieme a due medici di origine inglese, Barack Obama e la sua sorellastra Auma, accompagnati da due guide del posto.
«Gli ultimi 2-3 giorni, però, siamo rimasti io e lui da soli con una guida, per visitare il Lake Nakuru National Park - ricorda -. È lì che abbiamo scattato la foto che ci ritrae assieme. Tutte le altre ce le siamo fatte a vicenda, tanto che alcune immagini che lo ritraggono durante quel viaggio in una sua biografia gliele ho scattate io».
Sarebbe troppo facile dire a posteriori che la personalità di Barack Obama lo aveva “stregato” da subito, così come ha saputo conquistare i milioni di americani che lo hanno eletto per due mandati alla Casa Bianca. «A dire il vero, fino alla sua ascesa politica di qualche anno fa, per me Barack era solo uno dei tanti che ho conosciuto in 25 anni di avventure attorno al mondo. Fin da quando ero giovane ho viaggiato moltissimo, visitando foreste, deserti e città in tutti i continenti - spiega Calligaris -. Però posso dire che Obama è sicuramente tra quelle 3-4 persone che mi sono rimaste più impresse nella memoria, anche se non avrei mai immaginato che arrivasse dove è ora».
Di lui ricorda che era «un ragazzo molto socievole, affabile e sempre sorridente. Esattamente come appare in tv. Risultava subito simpatico e teneva in piedi la conversazione nel nostro gruppetto. E poi si vedeva che era una persona colta e curiosa. Già all’epoca si occupava degli emarginati e dei diritti dei più deboli: ricordo accese discussioni di politica con il medico inglese, la sera, attorno al fuoco. A me non interessavano molto e così me ne andavo a dormire, anche se lui cercava di coinvolgermi e stuzzicarmi sulla politica italiana, sulla quale era molto informato».
La vita al safari, nel 1988, era tutt’altro che comoda: notti nel sacco a pelo, sveglia all’alba, primo caffè in piedi e poi tutti in giro alla ricerca degli animali che popolano quei luoghi selvaggi. Dopo una sosta al campo nelle ore più calde, al tramonto ci si rimetteva di nuovo in marcia per ammirare le meraviglie della natura.
«Quando c’era da dare una mano non si tirava indietro: raccoglieva la legna, aiutava il cuoco, sempre con il sorriso sulle labbra - ricorda il 59enne -. Anche se a dire il vero non era molto attrezzato per il safari: girava in jeans e con il chiodo, un look non proprio adatto alla situazione - scherza -. Ma soprattutto di lui ricordo la sua voglia di conoscere, di sapere: era sempre interessato alle spiegazioni delle guide, faceva domande, si informava».
Dopo quel viaggio le loro strade si sono divise per sempre: «Io non chiedo mai i numeri di telefono o gli indirizzi alle persone che incontro nei miei viaggi, perché sono “amicizie” che si esauriscono nel contesto in cui sono nate. Mi è capitato solo un paio di volte di aver tenuto i contatti con qualcuno per qualche tempo, ma poi inevitabilmente non ci si sente più».
Nonostante gli amici abbiano cercato di convincerlo a contattare Barack Obama, Calligaris non ha mai voluto cercarlo. «Ci saranno centinaia di persone a fare da filtro, meglio lasciar stare» chiosa. Ma è convinto che il presidente degli Stati Uniti si ricordi di lui: «Nella sua biografia ha dedicato un intero capitolo a quel safari in Africa, citando anche il mio nome assieme a quelli dei nostri compagni di viaggio. Credo tenesse un diario nel quale ha annotato tutto. Quel viaggio in Kenya ha significato tanto per lui e credo si ricordi di quei momenti trascorsi insieme».
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