Massacri in Bosnia, maxi retata di serbi
BELGRADO. L’onda lunga dei festeggiamenti per la storica prima qualificazione ai Mondiali, arrivata martedì sera, non si è ancora spenta a Sarajevo. E fatto molto parlare all’estero, con una parte della stampa mondiale che si è addirittura azzardata a parlare di Paese unificato. Ma la Bosnia, malgrado il calcio, rimane una nazione unita solo nella forma, trina nella sostanza, piena di cicatrici non del tutto rimarginate. Alcune, dai più dimenticate, sono state riaperte ieri dalla notizia di una maxi-retata organizzata dalla procura nazionale bosniaca, una delle operazioni più estese dei tempi recenti, che ha portato all’arresto di ben otto serbo-bosniaci, ex paramilitari ed ex soldati dell’esercito comandato da Ratko Mladic. Tutti sono sospettati di aver partecipato ai massacri di Rogatica e dintorni, cittadina della Bosnia orientale, prima del conflitto abitata da almeno un 60% di bosgnacchi, poi cacciati con violenze e omicidi, un migliaio almeno. Una macchina, quella della pulizia etnica, che funzionava grazie ad oliati piccoli ingranaggi come quelli rappresentati dagli arrestati, imputati per «crimini contro l’umanità», «omicidi, deportazione forzata», specifica una nota della Sipa, l’Agenzia nazionale per la sicurezza. Su di loro pende l’accusa di aver partecipato, «nel settembre del 1992», ad «attacchi sistematici con armi automatiche» e «saccheggi» contro civili musulmani di Rogatica e «di villaggi circostanti». Massacri come quello del villaggio di Karacici, ha ricordato la procura bosniaca, uno dei più crudeli del conflitto. I sospetti, tutti nati a Rogatica, erano piombati nel paesino armati di tutto punto, obiettivo espellere i bosgnacchi dopo la solita routine di razzie e assassinii. Ma «circa 20 civili», riporta il comunicato, erano sfuggiti agli accusati. «Si erano rifugiati in un garage», nella speranza di non venire scoperti, tra loro c’erano anche «donne e bambini». Speranza vana. I civili vennero scoperti dagli individui ieri arrestati, condotti «in un fienile» non distante e «lì rinchiusi». A quel punto, come in un film horror, Mile Kusic – uno degli uomini da ieri nelle mani della magistratura bosniaca - «iniziò a sparare con un’arma automatica». Nessuno sopravvisse. Tutte balle, si poteva però leggere ieri nella sezione “commenti” di alcuni siti d’informazione bosniaci. La procura è «in mano a un musulmano», giustizia politica. «In realtà dovrebbero arrestare mezza Rogatica, non solo quegli otto serbi», una delle repliche. «Turco, guarda ai tuoi criminali», un altro appunto che ben rende le dimensioni delle fratture ancora esistenti nel Paese. Paese che, per guardare al futuro, ha bisogno di operazioni di pulizia giudiziaria, come quella iniziata ieri. E di permettere ai sopravvissuti di poter piangere i propri familiari uccisi. Una speranza che si alimenta con ciò che sta accadendo nell’ex miniera di Tomasica, nei dintorni di Prijedor, cittadina tristemente famosa per gli orribili lager serbo-bosniaci, in testa quello di Omarska e per gli oltre 3mila bosgnacchi eliminati nel 1992, più o meno contemporaneamente a Rogatica. Tomasica, dove un’enorme fossa comune sta restituendo da due settimane decine e decine di corpi o parti di essi. In tutto, solo fino a inizio settimana, «abbiamo ritrovato 111 corpi completi e 61 incompleti», ha confermato una portavoce dell’Istituto bosniaco per le persone scomparse. Con altissima probabilità si tratta di «civili bosgnacchi e croati» ammazzati in quel di Prijedor – dove le autorità locali serbo-bosniache ancora si rifiutano di dare via libera all’edificazione di un memoriale per le vittime - dai “colleghi” dei serbo-bosniaci arrestati ieri. Ma chissà quanti rimangono ancora uccel di bosco, in un Paese che non potrà dirsi pacificato e unito finché i criminali di guerra, di tutti i colori, saranno visti da alcuni come eroi, da altri come aguzzini quali sono. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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