Masegni, nei depositi del Comune solo 450 metri quadrati “buoni”
Nei due magazzini di Altura e Giarizzole i tecnici comunali stimano - in base ai documenti di deposito e al sopralluogo di ieri con l’assessore a patrimonio e lavori pubblici Andrea Dapretto - che siano conservati 450 metri quadrati di masegni “buoni”, grosso modo riutilizzabili. Di questi - trattasi di numeri forniti ieri dallo stesso Dapretto - 330 sono custoditi ad Altura, il resto a Giarizzole. Sono il risultato dei bancali trasportati da via Cassa di Risparmio e da altri cantieri precedenti. Potrebbero costituire un contributo per tappezzare “alla vecchia” le aree oggetto dei prossimi interventi: via Trento e largo Panfili, dove sono previsti 350 metri quadrati di masegno, e soprattutto Ponterosso, dove il selciato storico dovrebbe arrivare a coprirne 1430, tutti concentrati attorno al Giovanin. «Il ricorso ai masegni dei depositi dipenderà da quanto materiale riutilizzabile troveremo sotto l’asfalto direttamente a Ponterosso», premette Dapretto. Oltre al mucchietto “buono” risulta esserci, nei depositi, pure un non quantificato stock di masegni “non buoni”, non recuperabili ma degni comunque di conservazione. Un domani potrebbero servire per aggraziare muri di contenimento in Carso, o per ricavare l’angolino di una piazza in via di rifacimento. Ma non sono riposizionabili, appunto, perché risultano danneggiati a vario titolo: incrinati, spaccati, sfogliati.
Motivo? Dalle colate d’asfalto portate nel dopoguerra dagli alleati, fino alla riqualificazione di piazza Unità varata nell’Illy-bis e inaugurata in apertura di Terzo millennio, ogni volta che si faceva un buco per strada, che vi si scavava dentro e poi si ritombava col bitume (solo in rarissimi casi con l’arenaria, piazza Unità appunto) il masegno storico è stato «sempre considerato materiale di risulta da scavo». «E come tale è stato trattato, inserito fra gli oneri a carico dell’impresa che si occupava dell’appalto», per dirla alla Dapretto.
L’assessore di Cosolini, dunque, fa passare il messaggio che per più di mezzo secolo,ogniqualvolta si apriva un cantiere non si andava di fino come oggi. E in quell’enorme lasso di tempo ci son stati scavi in tutta Trieste per aggiustamenti alla rete fognaria, adeguamenti tecnologici (la fibra ottica del progetto Socrate degli anni Novanta), per levare o addirittura mettere (leggi Stream) rotaie. Quattro allora erano i tipi di “destino” cui potevano andare incontro i masegni sotto l’asfalto. Uno: passarla liscia, se scavatrice e martello pneumatico colpivano altrove. Due: essere danneggiati e ricoperti di bitume. Tre: venir deportati in qualche discarica edile, o gettati a mare, come scarto. Quattro: essere recuperati da qualche impresario avveduto a costo zero. “La Subida” di Cormons insegna.
Ma da dopo piazza Unità («quando cioè - precisa l’assessore - si è fatta largo una nuova sensibilità») nel momento in cui si apre il ventre di una strada o di una piazza si tende a conservare tutto il masegno rimasto, sia quello “buono” che quello che non lo è più. E non è tanto, giura Dapretto: «Le documentazioni del Comune in merito ai lavori di via Cavana e via Boccardi, tanto per fare un esempio recente, testimoniano come solo in un quinto del sottosuolo si sia trovato masegno, recuperabile a sua volta solo per metà».
Ecco perché - la conclusione dell’assessore - il Comune di Trieste (come pure quello di Muggia) ha dovuto farsi dare una mano dall’Autorità portuale, con i suoi masegni “buoni”, per coprire parzialmente piazza della Borsa e per tappezzare old style i dintorni del Revoltella. Ma non è solo questione di quantità: «I motivi per cui i progetti di riqualificazione non prevedono, di prassi, una pavimentazione totale coi masegni vanno ricondotti anche a esigenze di mobilità. Forse il comitato di tutela dei masegni dimentica che, come esiste lui, esistono anche i comitati che pensano alle esigenze dei disabili...».
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