Masè, tasse non pagate Casa di famiglia sequestrata

Prima del fallimento non aveva versato l’acconto Iva e le ritenute dei dipendenti per 310mila euro. Il pm Tripani si rivale sull’abitazione di Strembo
Di Corrado Barbacini
Lasorte Trieste 31/01/13 - Via Ressel, Sede Salumificio Masè e Masè Market
Lasorte Trieste 31/01/13 - Via Ressel, Sede Salumificio Masè e Masè Market

Un’altra tegola si abbatte sulla testa di Andrea Masè, già amministratore dello storico salumificio di via Ressel travolto dal fallimento e passato poi di mano alla società friulana Bts.

Questa volta i guai sono di natura fiscale e si sono concretizzati nel decreto di sequestro preventivo per la somma complessiva di oltre 310mila euro disposto dal gip Luigi Dainotti su richiesta del pm Matteo Tripani. Il giudice ha - in questo senso - emesso un provvedimento di sequestro - fino alla concorrenza della somma - della casa di famiglia dell’ex ammunistratore perché non ha trovato altri soldi. Nel mirino sono finite due unità immobiliari situate a Strembo in provincia di Trento. Si trovano in via Nazionale 34.

In un primo momento i finanzieri della Tributaria sono andati a cercare i soldi nei conti correnti di Andrea Masè. Ma ben presto gli investigatori si sono accorti che il saldo attivo dei depositi in conto corrente di Andrea Masè era di poco meno di 400 euro. Una goccia nel mare dei debiti nei confronti del fisco.

Il sequestro disposto dal giudice Dainotti è stato provocato infatti dal mancato versamento dell’acconto dell’Iva relativo al 2012 per un importo complessivo di 234mila euro. Ma anche delle ritenute relative agli stipendi dei dipendenti della ditta, imposte che ammontano a quasi 77mila euro che non sono appunto mai state versate. Totale appunto 310.624 euro

In pratica prima del fallimento della Masè non sono state pagate le imposte relative all’attività. Da qui appunto l’apertura di un fascicolo per reati fiscali da parte del pm Tripani. Fascicolo che non ha nulla a che fare con quello del fallimento affidato al pm Antonio Miggiani.

La crisi dello storico marchio di salumi Masè, con fabbrica a San Dorligo della Valle e 11 negozi in città, era iniziata nell'agosto del 2012 quando l’azienda aveva chiesto cassa integrazione in deroga per 8 dipendenti, per 3 mesi, diventati però 13 (su 79) in novembre, e ormai era diventata cassa integrazione straordinaria. A fronte di due anni consecutivi coi bilanci in rosso, di un calo nelle vendite al dettaglio vicino al 10 per cento, con difficoltà di accesso al credito e pesanti spese affrontate nel 2007 e 2008 che si stavano scontrando con una congiuntura economica molto negativa. Da lì una strada in discesa, la richiesta di concordato preventivo presentata in tribunale a fine dicembre 2012, i due mesi di tempo per allestire un piano di ristrutturazione, e poi il nulla di fatto e quindi l’esercizio provvisorio deciso dal giudice fallimentare, la ricerca di nuovi partner societari, l’attesa di qualcuno che rilevasse la storica azienda altrimenti destinata a chiudere. Poi la sorpresa, la salvezza. A metà aprile la Masè era stata presa in affitto, con prospettiva di acquisto, da una società friulana, la Bts, formata da Franco Soldati, presidente dell'Udinese Calcio, dall'imprenditore Carlo Fulchir, da Luca Marcuzzo allora assessore provinciale alla caccia di Udine, e Dino Fabbro già proprietario di supermercati. Canone di affitto, 11.200 euro al mese, col deposito di una cauzione di garanzia di 110 mila, più i precedenti 35 mila versati al momento della gara di aggiudicazione in tribunale.

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