Mascalzone Latino trasformato in una “casa-barca” sul mare

Cristina Delbello lancia una provocazione assieme al creatore del mito della vela Giovanni Ceccarelli e pone il problema del fine vita per gli yacht in vetroresina

Giulio Garau

Abitare l’inabitabile, come Mascalzone Latino, una barca da regata che diventa residenza in movimento, con una terrazza sul mare che si appoggia su uno scafo accessorio, come un pattino delle canoe polinesiane. Solo la cultura del mare di Monfalcone poteva far nascere una simile idea, diventata una tesi di laurea di una monfalconese doc come Cristina Delbello che ha potuto avvalersi, come correlatore, dello stesso creatore di Mascalzone latino, Giovanni Ceccarelli.

È un progetto ideale che non si sa se verrà realizzato, ma che, approfittando della notorietà della barca, pone un problema di enorme rilevanza per il mondo nautico. Immaginare un “dopo vita” per le imbarcazioni, piccole e grandi, che arrivate al momento della fine devono essere demolite. Un problema che diventerà esplosivo negli anni quando finirà il ciclo vitale di tutte le imbarcazioni in vetroresina. Un materiale che non è riciclabile: mentre un’auto può essere riciclata al 90% le imbarcazioni di vetroresina al 30% e si recuperano solo attrezzature, motore e impianti. Lo scafo no e demolirlo e portarlo in una discarica autorizzata è costosissimo. Un quadro che spinge tanti armatori ad abbandonare da qualche parte a terra le vecchie imbarcazioni, o, peggio, a portarle al largo, spogliate delle attrezzature, per affondarle simulando un incidente in mare.

Anche per questo si è messa a lavorare Cristina Delbello che ha frequentato il corso di architettura a Gorizia, lo scorso anno ha partecipato ad un master specialistico sulla nautica a Sabaudia, ha ottenuto la patente nautica e sta frequentando uno stage a Monte Carlo Yachts. Una tesi la sua da 110 e lode perché l’idea del recupero abitativo di una imbarcazione che ha fatto la storia della vela in Italia oltre ad essere originale, finora non è stata mai messa in pratica.

Relatore principale il professor Giovanni Fraziano, correlatori l’architetto Paolo Ferrari e l’ingegner Giovanni Ceccarelli creatore di Mascalzone Latino ITA-72. Un’imbarcazione da regata costruita nel cantiere Tencara a Marghera per partecipare alla 31ª edizione della Coppa America, ad Auckland in Nuova Zelanda (dal 2002 al 2003). Mascalzone Latino viene preso a riferimento per fare luce su un tema più ampio, che accomuna tante barche da regata e non: cosa succede alla fine della loro vita? L’abbandono diviene quindi il dato di partenza dal quale creare una nuova realtà.

Quasi una provocazione rendere abitabile un guscio costruito per portare l’uomo che lo governa al limite ma non per accoglierlo. Mascalzone Latino viene quindi spogliato delle attrezzature da regata ormai inutili, mentre vengono aggiunti vari elementi che servono a rendere vivibile sia l’esterno che l’interno dell’imbarcazione.

All’esterno un sistema composto da scafo ausiliario, bracci di collegamento e piano calpestabile permette allo scafo di riacquisire la stabilità perduta a causa dell’eliminazione di albero e deriva e di creare un ulteriore spazio vivibile. Il riciclo della velatura risulta invece utile per la creazione di una copertura mobile, leggera e flessibile ma allo stesso tempo robusta e resistente alle intemperie. L’aggiunta di un piccolo motore fa sì che l’imbarcazione non perda la caratteristica fondamentale per cui era stata costruita: l’idea di imbarcazione è associata al movimento.

All’interno lo scafo originale non ha nessuna apertura da cui far entrare la luce naturale: l’ambiente risulta buio, oltre che stretto e basso. Vengono quindi pensati vari elementi, come aperture di diversa forma e dimensione, una tuga trasparente e un periscopio, che allargano lo spazio e inquadrano porzioni di paesaggio più o meno ampie, garantendo sia l’illuminazione dell’ambiente interno che la connessione visiva con lo spazio esterno. Nella tuga al posto del classico vetro le lastre alveolari di policarbonato integrate con pannelli fotovoltaici per ridurre il peso e garantire il sostentamento in modo eco-sostenibile.

Gli arredi ripensati in modo da adattarsi sia allo spazio stretto e lungo della carena, ottimizzandolo, sia alle esigenze dell’uomo, che mutano durante la giornata: flessibilità e leggerezza sono le caratteristiche ricercate, che condizionano anche la scelta dei materiali.

L’arredo interno diventa componibile, quando è aperto e in funzione occupa molto più spazio rispetto a quando è chiuso grazie a letti a scomparsa e tavolini pieghevoli che a elementi solitamente fissi come la cucina e il bagno, che divengono elementi unici e modulari; ogni modulo è pensato per ruotare attorno ad un perno centrale che al suo interno contiene le tubature, le quali scaricano in appositi serbatoi sotto il pagliolo. –

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo