Marineria, la storia può rivivere in Androna Campo Marzio

Dalle fonderie del Lloyd all’assemblaggio e all’arredo, qui nascevano le navi già due secoli fa: spazi ed edifici oggi da valorizzare in chiave culturale

di RENZO S. CRIVELLI

Con la caduta della variante del Piano Regolatore, subentrata alla elezione di Roberto Cosolini a sindaco di Trieste, si è acceso un folto dibattito sulle conseguenze che avrà il ritorno, seppur temporaneo, ad un regime incontrollato privo di vincoli per le nuove costruzioni in zone strategiche della città.

E in particolar modo, grazie anche al Comitato, assai agguerrito, fondato alcuni anni fa, a salvaguardia della zona di Campo Marzio, è tornata di attualità la sistemazione di una delle zone più delicate di quel rione, già offesa dall’immane sbancamento in atto per la costruzione di un colossale blocco di cemento a lato della sede del Piccolo.

Di quell’area, delicatissima, che collega le androne Campo Marzio e Santa Tecla, in cui da una decina di anni si è insediata l’Università, con alcuni Dipartimenti della Facoltà di Lettere collocati in un edificio di importanza storica (restaurato molto bene), che nell’Ottocento ospitava le fonderie del Lloyd, si sta tornando a parlare proprio grazie alla possibile ripresa di alcuni progetti che erano stati bloccati.

E su quel luogo, che comprende anche l’ex Dipartimento di Storia della Facoltà, riqualificato in direzione di una presenza culturale massiccia, fatta di biblioteche, studenti e professori, l’occhio del costruttore si è posato con molta attenzione da parecchio tempo. Fino al punto che, stando ad alcune recenti dichiarazioni di imprenditori, sembrerebbe venuto il momento di approfittare, in modo del tutto legittimo s’intende, delle nuove opportunità date dalla “finestra” che permette l’attuazione di altre colate di cemento.

Vediamo innanzitutto di che si tratta. L’attuale edificio dell’Università, sede del nuovo Dipartimento di Scienze Umanistiche, si trova alla fine dell’Androna Campo Marzio, a fianco della via Guido Reni, un tempo unico accesso alla parte alta di via Franca, ed ha, sul lato anteriore, uno spazio ristretto che permette l’ingresso degli studenti, e, sul lato posteriore, un’area abbastanza vasta che confina con il grande terrapieno che dà su via Belpoggio.

L’Università non ha comperato quest’area, che pure avrebbe permesso di accedere ai suoi locali dall’opposta Androna Santa Tecla, alleggerendo il passaggio degli studenti in Androna Campo Marzio, un’area che, si badi bene, contiene i vecchi edifici della fornace del Lloyd, con i resti dell’alta ciminiera che mandava bagliori nel cielo sia di giorno che di notte quando questo quartiere era il cuore delle costruzioni navali di Trieste.

Purtroppo l’Università non ha acquisito neanche un piccolo edificio posto al lato estremo di Androna Santa Eufemia, che avrebbe permesso il collegamento con l’ex Dipartimento di Storia, in modo da consentire la libera circolazione degli studenti in tutto il complesso (tutt’ora bisogna fare un giro assurdo per andare in Androna Campo Marzio, passando da via Economo).

Questa mancanza di omogeneità nel progetto di installazione di gran parte della Facoltà di Lettere in quella zona, lasciando le pertinenze per così dire “a macchia di leopardo”, ha favorito in passato la volontà di insediamento di progetti di edilizia privata accanto a quelli pubblici, alcuni dei quali veramente devastanti, a cominciare da quello che prevedeva, proprio nell’area in cui si trovano le ex fonderie, un “cubone” altissimo fino alla via Belpoggio, che si sarebbe portato a pochi metri dalle finestre delle aule universitarie, in una zona dove fra l’altro sono previste anche le uscite di sicurezza.

Di questo folle “cubone” grazie anche al Comitato, non se ne è fatto nulla, ma lo stesso non si può dire delle aree comprese fra le Androne Santa Tecla e Sant’Eufemia, nonchè in quella che stringe la Facoltà dal lato opposto, dove ora si trovano gli ex magazzini dell’impresa Fadalti, di cui alcuni portoni si aprono sull’area universitaria, in un gioco complesso di servitù di passaggio che i tecnici dell’Università forse non hanno molto considerato al momento dell’acquisto (si è scoperto in seguito che anche l’altro lato, che dà su Androna Santa Tecla, ha una servitù, però a favore dell’Ateneo).

Lì, in quel complesso delicato di edifici sette-ottocenteschi si sono inserite le mire dei costruttori (ricordiamo che già alcuni anni fa, un altro nuovo edificio nell’Androna Santa Tecla, aveva alienato i bagni pubblici austro-ungarici, con il loro tacito abbattimento).

E ora, ripartendo vecchie acquoline, si sta riparlando di cementificare anche la zona ex Fadalti, con parcheggi e abitazioni private che guarderebbero anch’esse sulle finestre delle aule universitarie, mentre il transito di decine e decine di auto in una zona al massimo della capienza porterebbe a un intasamento colossale, con gli studenti che già oggi sopportano ristrettezze di ogni tipo in Androna Campo Marzio mentre si recano nella loro Facoltà (si pensi ai disabili). Insomma, un bel pasticcio, che rischia di complicare una situazione già di per sé precaria.

Ma la verità è un’altra, e rientra in una delle svariate demolizioni dei punti storici di questa nostra città, che ama così poco il proprio passato quando si tratta di sfruttare delle aree a scopo edilizio. Androna Campo Marzio, infatti, è un punto-chiave della storia marinaresca di Trieste, un punto delicato, che il destino ha conservato in modo esemplare, lasciandoci uno scenario che non si discosta molto da quello di metà Ottocento (come appare bene dalla stampa che qui pubblichiamo, scoperta negli archivi di Vienna da un grande studioso di cose triestine come il capitano Sergio degli Ivanissevich).

In quella zona, infatti, ferveva tutta l’attività di costruzione e di armamento delle navi fin dall’epoca di Maria Teresa. Attività che accoglieva negli edifici che costellano l’Androna tutte le fasi dell’assemblamento e dell’arredamento artigianale dei vascelli.

A quel tempo il fervore lavorativo era notevole, sotto l’ombrello della grande fornace (nella stampa si vede il fuoco che esce dal suo camino). Molti di questi edifici sono stati studiati architettonicamente in una ricerca universitaria trent’anni fa, e di essi sappiamo abbastanza per capirne la funzione. Lo stesso edificio ex Fadalti, che si vuole trasformare in condominio, esisteva nel Settecento ed aveva una sua precisa destinazione. Del resto chiunque si avventuri nell’Androna Campo Marzio non può non notare l’unità architettonica degli edifici da ambo i lati, tutti perfettamente conservati, seppur per ragioni commerciali diverse (come è giusto che sia in un’area a ciò destinata da più di duecento anni).

E allora ecco cosa si dovrebbe fare, invece di cementificare senza ragione: fare un ulteriore studio sulla via e trasformarla in un percorso di apprendimento per il turista culturale che, avventurandosi a piedi, accanto agli studenti (la cultura che dà i suoi frutti), trova per ogni edificio un leggio in cui gli si spiega a cosa serviva, quale anello produttivo rappresentava per una città che si costruiva le sue navi, per avvalorare la propria potenza commerciale. Tutto ciò nella prospettiva di arrivare, alla fine di questo percorso museale all’aperto, proprio al Museo del mare, situato lì a pochi passi, in cui questo stesso schema potrebbe trovare tutte le documentazioni espositive del caso. Recuperando in questo modo una funzione storica importantissima, a beneficio di una ulteriore lettura di Trieste come porto franco e centro di scambi commerciali navali.

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