Marina militare, conclusa la missione di promozione in Africa
Dopo quasi cinque mesi in cui sono state visitate 20 nazioni nella Penisola arabica e in Africa, si è conclusa a Civitavecchia la campagna “Il Sistema Paese in movimento” del 30° Gruppo navale della Marina militare italiana. È stata un’operazione “combinata” di marketing industriale, diplomazia, cooperazione militare, promozione del “made in Italy” non solo nel settore militare ma anche umanitaria.
A comandare la portaerei Cavour, la rifornitrice Etna, la fregata Bergamini e il pattugliatore Borsini l’ammiraglio di divisione Paolo Treu, friulano, in Patria comandante della Flotta d’altura. Le unità erano partite proprio da Civitavecchia il 13 novembre alla volta del Canale di Suez, del Golfo Arabico e degli Oceani Indiano e Atlantico, compiendo il periplo del Continente africano.
La campagna navale è stata «un simbolo di un Paese che vuole ripartire, di una nazione che non accetta di essere vista con il cappello in mano, in ginocchio, tremante davanti alle difficoltà. È stata il simbolo di una nazione il cui popolo è fiero delle sue tradizioni e della sua storia, consapevole del proprio potenziale, orgoglioso di essere italiano. Questo simbolo siete riusciti a incarnarlo in maniera perfetta» ha dichiarato il capo di Stato maggiore della Marina militare, ammiraglio di squadra Giuseppe De Giorgi, rivolgendosi al rientro agli equipaggi.
La campagna era stata pianificata e iniziata accompagnata da critiche, sia per i supposti costi aggiuntivi in una fase di crisi economica, sia per l’inopportunità di promuovere un’industria “da guerra”, come sostenuto da una parte del mondo cattolico e della sinistra.
Ammiraglio Treu, iniziamo proprio da qui. Lei aveva già dato risposte precise a tali critiche...
Già, il punto è se vogliamo o meno sostenere un’industria italiana della difesa, che dà da vivere tra l’altro a 100mila operai e alle loro famiglie, o se vogliamo che certi prodotti vengano acquistati dai compratori mondiali da altri produttori. L’Italia si è data regole certe affinché le vendite non violino norme o sanzioni internazionali. Il discorso può essere allargato: vogliamo aveve ancora le Forze armate? Basta deciderlo, poi vi saranno conseguenze...
Ambienti cattolici hanno storto il naso sull’opporuntià di accopiare promozione militare e attività umanitaria...
Davanti a risultati concreti, come i 114 interventi chirurgici in 17 giorni a bordo della Cavour per risolvere cecità e problemi facciali con la “chirurgia del sorriso”, in molti si sono ricreduti. E dai nunzi apostolici dei Paesi visitati abbiamo avuto solo elogi. Infine, per gli equipaggi è prevista un’udienza da Papa Francesco.
Riguardo i supposti costi aggiuntivi?
Non ve ne sono stati, come spiegato alla vigilia. I costi sono stati coperti con i mezzi finanziari già previsti dal Bilancio per l’addestramento e dai contributi delle aziende che hanno aderito alla campagna promozionale. Non un soldo in più a carico del contribuente. L’addestramento si sarebbe fatto comunque, magari in altre circostanze. Così invece abbiamo contribuito anche a rilanciare l’economia ed elevare il rango internazionale del Paese. E già sappiamo che le aziende con le loro “vetrine” a bordo hanno avuto ritorni positivi.
Quale è stato il significato globale di tutta la campagna?
Dal punto di vista militare e diplomatico, si è trattato di fare muovere una forza navale importante in un’area importante del mondo. E mi riferisco all’Africa, poiché riguardo la Pensiola arabica il fatto è assodato da tempo e da tempo costituisce un mercato per tutte le industrie del settore. Il Continente africano rappresenta il futuro: certo altre nazioni più grandi hanno di recente preso possesso di ampie settori di mercati ma c’è ancora margine. Ecco, noi abbiamo dimostrato, supportando anche il Ministero degli esteri, che l’Italia ha capacità credibili e non di serie B. Ora spetta al Sistema Paese capitalizzare quanto investito.
Gli aspetti più importanti dell’attività nel Continente nero?
Abbiamo contribuito, con addestramenti mirati e mostrando prodotti e tecnologie italiani, alla capacity building di marine militari di Paesi emergenti nel settore petrolifero e del gas, che però non hanno i mezzi per proteggere tali risorse. Ecco che il pattugliatore d’altura Borsini il 30 gennaio si è staccato dal Gruppo navale a seguito di un accordo tecnico di cooperazione con la marina del Mozambico: rimarrà operativo lì fino al 15 aprile. Ma anche la tappa in Angola è stata molto importante: ben cinque loro ministri a bordo.
Altre tappe di rilievo?
Beh tutte ma voglio ricordare quelle in Ghana, con la visita del presidente della repubblica, in Congo, Nigeria. Con feed back molto positivi e a volte simpatici: qualcuno neppure sapeva che l’Italia possedesse una portaerei, seppure non grande come le statunitensi. Altri di fronte a tecnologie e dimostrazioni hanno detto che eravamo “degni di Discovery Channel”. In Madagascar all’inizio siamo stati accolti un po’ freddamente. Le nostre operazioni chirurgiche infantili umanitarie “disturbavano” certe cliniche. È finista con tanti nuovi sorrisi di bimbi malgasci e un’esercitazione di sbarco congiunta con la loro marina.
Per quanto attiene più propriamente l’aspetto militare?
Abbiamo sfruttato ogni finestra temporale libera e ogni opportunità tattica per svolgere attività operative, come nell’anti-pirateria, e addestrative. Abbiamo cooperato con la portaeri Usa Truman, la francese De Gaulle, la nave spagnola Carlos I; abbiamo svolto manovre con le più diverse marine, dalla ghanese alla Navy australiana e di carattere anche complesso, aeronavali e anfibie.
Il ricordo più toccante?
Certamente vedere arrivare a bordo, dal bush africano, famiglie con bambini malati, gente per la quale le nostre navi credo avessero lo stesso impatto che per noi un’astronave marziana, per poi vedere i piccoli tornare a casa sani è appagante ed emozionante. In Africa le deformazioni facciali come il labbro leporino oltre a una valenza negativa estetica e funzionale comportano una discriminazione sociale pesante.
Soddisfatto quindi?
Sì, in alcuni momenti la Squadra aveva a bordo 1.200 persone. Tutti, dagli stagisti ai marinai, dai medici civili ai manager delle aziende, hanno remato col proprio remo verso un’unica direzione: fare ben figurare l’Italia, contribuire a superare la crisi.
Durante la campagna ma più in generale nella sua carriera professionale, quanto hanno contato le sue origini friulane?
I friulani sono gente concreta, non guardano ai fronzoli ma alla sostanza, s’impegnano sempre. Sono riuscito a mantenere sepre quello slancio e quell’energia che la mia gente conserva. Questo back ground culturale genetico, l’approccio modesto ma determinato, mi ha aiutato ora ma mi ha accompagnato fin dai tempi del Collegio Morosini di Venezia, l’inizio della mia vita in mare.
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