Marchio made in Italy al palo a Bruxelles, Sertubi a rischio stop

Il gruppo Jindal ha informato Fim e Uilm: dei 67 dipendenti potrebbero restarne al massimo 15. Allertato il ministero
Foto BRUNI 11.04.2018 Sertubi-assemblea operai-sindacati
Foto BRUNI 11.04.2018 Sertubi-assemblea operai-sindacati

TRIESTE I casi sono due: alla Sertubi, rispetto agli attuali 67 dipendenti, o se ne andranno a casa tutti nel giro di un paio di mesi o ne resterà una quindicina per svolgere un’attività produttiva decisamente ridotta in confronto all’attuale. Le speranze sono ridotte al lumicino: solo l’impegno istituzionale a livello governativo e regionale può forse salvare Sertubi dalla chiusura o da un drastico ridimensionamento.

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Siamo ben oltre il periodico allarme, perché ieri mattina, durante un incontro svoltosi nella sede aziendale dell’ex Arsenale, i dirigenti del gruppo indiano Jindal Saw, che ha in affitto lo stabilimento dalla Duferco, sono stati espliciti. Manish Kumar e Massimiliano Iuvara, entrambi in teleconferenza, hanno spiegato ai sindacalisti di Fim Cisl e della Uilm, le sigle rappresentative, le ragioni della drammatica alternativa occupazionale.

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Foto BRUNI 11.04.2018 Sertubi-assemblea operai-sindacati


Purtroppo - riferiscono Michele Pepe (Fim) e Antonio Rodà (Uilm) - il problema dei codici doganali, che non consentono all’azienda di marchiare i tubi con il “made in Italy”, ristagna ancora insoluto sulle scrivanie di Bruxelles. Ma non solo il percorso di riconoscimento da parte della Commissione Ue batte la fiacca, pare che gli eurocrati vogliano coinvolgere nella decisione sulle marchiature Sertubi le associazioni siderurgiche comunitarie, all’interno delle quali i competitori tedeschi e francesi non sono ben disposti nei confronti delle richieste della Jindal. Per Sertubi è una questione vitale, poiché il marchio le consentirebbe la partecipazione alle gare dove è indispensabile il riferimento produttivo a un Paese Ue.

Il prossimo 21 giugno - rifiniscono Pepe e Rodà - saranno trascorsi due mesi dal parere favorevole incassato dalla Ue in tema di dazi su produzioni di provenienza indiana: se non verranno presentati ricorsi, si potrà importare il tubo realizzato in India e apportare a Trieste alcune lavorazioni, consentendo in questo modo di salvare una quindicina di posti. Al momento - commenta Pepe - sarebbe l’ipotesi meno disastrosa. L’azienda, intanto, si è già mossa con la Regione Fvg allo scopo di ottenere un trattamento di cassa integrazione per cessazione parziale.

Dopo questo mesto inizio di giornata, Fim e Uilm hanno cominciato a tessere la tela delle relazioni istituzionali. La prima mossa è chiedere una convocazione da parte del ministero dello Sviluppo economico (Mise), di cui è titolare il vice-premier pentastellato Luigi Di Maio, che nel luglio dello scorso anno si era occupato appunto del dossier Sertubi. —


 

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