Marchetti: «I risparmi dei soci non sono spariti»

L'ex presidente: "Soldi impiegati per la normale attività come accade in tutto il mondo. Il Cda ha sempre agito per il bene dell’azienda"
Livio Marchetti
Livio Marchetti

La Procura sostiene che i soldi dei 17mila soci risparmiatori - tanti: 103 milioni di euro - sono spariti dalle casse delle Cooperative operaie? Livio Marchetti, il presidente esautorato dai pm, contrattacca: nessuna cooperativa né banca al mondo ha i soldi dei propri risparmiatori pronti in cassa, se non in minima parte. Quei soldi, come sempre accade, vengono utilizzati per la normale attività. E così è accaduto per le Coop. «È un’anomalia che si debba restituire in blocco il prestito sociale e che, pertanto, si debbano tenere a disposizione i 100 o i 50 o i 10 milioni di euro indicati dai pm». Questo si legge nella memoria che Marchetti, attraverso il suo legale, il professor Alfredo Antonini, ha depositato in Tribunale in vista dell’udienza di stamani: in discussione la richiesta di fallimento delle Coop avanzata dai pm Federico Frezza e Matteo Tripani. Richiesta che Marchetti chiede al giudice di respingere, sostenendo anzi che «il comportamento del Consiglio di amministrazione» è stato «sempre nell'interesse delle Coop».

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Marchetti è accusato dai pm di essere il principale responsabile dello stato di grave e conclamata «decozione» dell’azienda. L’accusa per lui è di falso in bilancio. Ma la memoria scritta da Antonini per conto di Marchetti chiede che questi riprenda il suo ruolo. Tornando all’accusa di sparizione dei soldi dei risparmiatori, «il prestito sociale - scrive Antonini - è inserito nel bilancio come voce passiva. È un nonsenso pensare che l'importo versato dai soci debba essere tenuto a disposizione in una sorta di forziere: la situazione per questo aspetto è uguale a quella delle banche, le quali, secondo le regole tecniche che presiedono alla loro attività, devono tenere liquida solo una percentuale».

Poi l’attacco ai pm Frezza e Tripani: la mancanza di liquidità «si è realizzata proprio per effetto dell’iniziativa strumentale della Procura. È chiaro che tutti i correntisti si presenteranno a richiedere i propri averi non appena dovesse cessare il blocco» posto «dall'amministratore giudiziario». «La riduzione del prestito sociale - prosegue la memoria - è addebitabile in parte alla crisi che ha portato le famiglie a ritirare i propri risparmi, e in parte a una sorta di “guerra” mossa da un gruppo di soci allo scopo di impadronirsi del governo societario, con iniziative tutte infondate e come tali respinte in sede giudiziaria».

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Il legale affronta anche la «situazione economica e finanziaria» delle Coop operaie definendo «fuorviante» l’iniziativa giudiziaria attivata dalla Procura. «Non è in discussione - scrive - che la gestione caratteristica abbia dato risulti negativi». Ma questi dipendono, secondo l’ex presidente, dalla crisi economica generale e da quella della grande distribuzione. Il cda di Coop operaie semmai ha preferito esercitare la propria «azione sociale» evitando «licenziamenti» e mantenenendo aperti «anche i supermercati in gestione passiva». Fra le concause del dissesto anche «la struttura amministrativa sovradimensionata». Il cda però si era già messo in moto per raddrizzare la situazione, dando incarico «a una primaria società di predisporre un adeguato piano industriale, pronto ad affrontare le “lacrime e sangue” e l'impopolarità, pur di contenere fino ad annullare le perdite degli esercizi caratteristici correnti».

Quanto alla questione finanziaria, «Il problema finanziario sussiste, ma non ha la portata letale riferita dalla Procura e soprattutto è stato valutato adeguatamente dal Cda, che ha preordinato i mezzi per poterlo risolvere. La mancanza di liquidità dipende dunque da diminuzione del prestito sociale e calo degli incassi; ed è riconnessa alla difficoltà nel pagamento puntuale dei fornitori ma anche «alla presenza nel patrimonio sociale di immobili in misura probabilmente eccessiva». Riguardo ai fornitori, secondo Antonini sono stati presi «accordi ai fini di una moratoria e di una riscadenziazione dei pagamenti». Se il ritardo, in assenza di decreti ingiuntivi, dovesse significare insolvenza, «la gran parte degli imprenditori dovrebbe oggi essere dichiarata fallita».

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