Mano tesa del sindaco Dipiazza alla Comunità islamica: «Trieste esempio di integrazione»

Il sindaco «commosso» dall’accoglienza ricevuta durante la Festa del sacrificio. I fedeli musulmani offrono cibo in strada ai vicini
Silvano Trieste 2019-08-11 Festa Religiosa Centro Islamico
Silvano Trieste 2019-08-11 Festa Religiosa Centro Islamico

TRIESTE Erdogan, turco, ed Erion, albanese, siedono a un tavolo con Saleh, palestinese. Scalzi, sopra un mare di tappeti arabeggianti, davanti al “mihrab” - una nicchia inserita nel muro, orientata verso la Mecca, da cui la guida spirituale conduce la preghiera congregazionale - si gustano i dolci di questa domenica speciale. Nessun alcolico, solo succhi, tè freddo e acqua. Arriva un altro “fratello”. «Tieni, mangia della baklava». «Grazie. Ma tu sei dei Balcani?». «Sì», risponde Erion. «Anch’io, sono bosniaco», aggiunge l’ultimo arrivato.



È la fratellanza e l’integrazione che si respirano nella moschea di via Maiolica, dove ieri una folla immensa è accorsa per celebrare già alle 8.30 “Eid Al Idha”, più comunemente conosciuta come la Festa del Sacrificio, o anche Festa della fine del pellegrinaggio o Grande Festa. Si tratta della seconda ricorrenza più importante celebrata dalle comunità islamiche di tutto il mondo, a conclusione del mese appunto del pellegrinaggio alla Mecca, un obbligo per ogni buon musulmano almeno una volta nella vita. «Ma è appunto anche la festa della fratellanza», aggiunge Saleh.

Lui, che di cognome fa Igbaria, è il presidente del Centro islamico di Trieste e della Venezia Giulia. Ed è stato lui quindi, in qualità di padrone di casa, ad accogliere, durante i festeggiamenti all’esterno, dopo la cerimonia religiosa, il sindaco Roberto Dipiazza. Che si è detto addirittura «commosso» di fronte all’accoglienza ricevuta. «È stato un momento molto simpatico e bello, non mi aspettavo un abbraccio così - ha commentato al termine Dipiazza, intervenuto insieme all’assessore alla Cultura, Giorgio Rossi -. Trieste è città multietnica e multireligiosa, e io mi auguro che vivremo in pace. La comunità musulmana non ha mai creato alcun problema».

Era proprio questo il messaggio che la comunità intendevza trasmettere. Di fronte ai banchetti banditi con leccornie di ogni tipo, allestiti appositamente in strada per dare la possibilità alla comunità di interagire di più con la città, Igbaria spiega il senso della festa. «Un’iniziativa fatta apposta per far partecipare cittadini e vicini». «La presenza del sindaco e dell’assessore è il risultato del dialogo positivo che c’è tra noi e le istituzioni - afferma Igbaria -. Penso che la nostra comunità sia un esempio anche a livello europeo: non ce ne sono altre che sono così benvolute come la nostra».

Prima della festa il momento di preghiera ha unito solo i fedeli. «Il sacrificio si riferisce a quello di Abramo - spiega il presidente -, messo alla prova da Dio, che gli ordinò di uccidere il figlio. Nella nostra vita tutti siamo sottoposti a dei test. Questa giornata è il momento giusto per riconciliarci con le persone con cui abbiamo litigato, per fare il primo passo verso l’altro – continua Igbaria -. È abitudine che dopo la cerimonia religiosa si vada a salutare amici e parenti a casa, con dolci e bevande, a visitare i conoscenti malati, è una giornata di gioia e felicità».

Le mille persone che hanno partecipato alla funzione (solitamente sono 600 gli assidui frequentatori della moschea, di cui una decina triestini) ieri si sono divise in due turni. Il secondo è stato alle 9.30. Le donne e gli uomini hanno ascoltato la funzione divisi in due sale differenti. «Ma solo nel primo turno – chiarisce il presidente -, per motivi di spazio, poi eravamo tutti assieme».

La predica dura pochi minuti. «È una giornata di benedizione, d’amore, Dio fa scendere la sua misericordia. Diffondete la pace tra di voi e ricordate che il musulmano “buono” non ha problemi a integrarsi in una società evoluta. L’Islam è rispettoso, aperto, libero. Dovete seguire il profeta, se volete raggiungere Dio. E per farlo, basta una buona azione, ma non per voi stessi, ma per Dio». —


 

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