“Manager” delle prostitute in carcere fino al processo
Si sono detti vittime di un errore investigativo, ma le intercettazioni li inchiodano Il gip ha negato la libertà ai due rumeni sbarcati in città con il loro giro di ragazze
«Sono innocente: anzi vittima di un errore degli investigatori». Sono state queste, in estrema sintesi, le linee difensive dei due giovani rumeni “Bobi” Stefanescu e Flavius Floca, arrestati venerdì scorso dal pm Federico Frezza con l’accusa di aver sfruttato cinque giovani connazionali costringendole a prostituirsi lungo i marciapiedi del Borgo Teresiano e in un appartamento di via del Monticello.
Negando ogni evidenza e protestandosi innocenti, i due rumeni speravano che il giudice delle indagini preliminari Luigi Dainotti concedesse loro di uscire dal carcere. Liberi. Invece il magistrato ha esibito alcuni fogli sui quali era annotato il contenuto di numerose conversazioni telefoniche con le donne inviate a “lavorare” sul marciapiede.
I due hanno abbassato il capo e hanno capito. Le loro dichiarazioni di innocenza erano diventate un boomerang. “Bobi” Stefanescu e Flavius Floca, per quanto incensurati, resteranno in carcere almeno fino al processo. Il giudice Luigi Dainotti ha ritenuto che potessero reiterare il reato di cui sono accusati e ha accolto la tesi della Procura che ha proposto per i due la detenzione in cella. Del resto le intercettazioni telefoniche descrivono con grande precisione il loro modo di vivere e di operare.
Entrambi dicono di essere degli operai edili senza contratto. «Lavoriamo in nero», hanno ammesso. Le intercettazioni suggeriscono ben altro. Ad esempio Flavius Foca, prima di essere bloccato dai carabinieri, aveva fatto arrivare a Trieste quattro connazionali da Milano e le aveva schierate sui marciapiedi del Borgo Teresiano.
«Oggi arriva anche Giorgiana: ti informerò se scende anche lei, così le mettiamo in strada prima». E ancora. «È arrivato un poliziotto, le guarda perché sono nuove. Le lascio qui oppure le sposto là dalle impalcature, così non le vedono?» «Le porto giù in via Trenta Ottobre; Ma le nere sono là? Se le vedono se la prendono con loro».
Altre intercettazioni definiscono con precisione lo sfruttamento. Dicono chi comandava e chi eseguiva. Altre dichiarazioni rese agli investigatori mettono invece a fuoco il rapporto tra le ragazze e chi ora è in carcere. «Di quanto ho incassato ho dato 250 euro a Bobi. Glieli ho spediti tramite la Western Union. Quando lui è rientrato a Trieste, gli è stato più facile controllare quanto guadagnavo. Di conseguenza ha preteso e ottenuto la metà dei miei incassi, circa 250 euro. Avevo comprato un biglietto per tornare a casa ma lui me lo ha strappato».
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Una delle ragazze costrette a prostituirsi da tempo cercava di liberarsi dagli sfruttatori».
È questo uno dei passaggi più significativi del documento su cui hanno discusso nel corso dell’udienza di convalida il giudice Luigi Dainotti e i difensori dei due rumeni, gli avvocati Luca Maria Ferrucci e Carmine Pullano.
La ragazza, che ha poco più di 18 anni, aveva manifestato anche nelle conversazioni intercettate dalla Procura la ferma intenzione di non prostituirsi più, di cambiare vita, di trovare un lavoro. È emerso che aveva chiesto di venire assunta come banconiera e persino come spazzacamino.
Secondo i magistrati è assolutamente necessario che chi l’ha sfruttata non possa contattarla, avvicinarla e intimidirla per farla ritornare a vendersi. In Italia questa ragazza non ha punti di appoggio, parenti o amici e sarebbe paradossale che proprio lei ora debba lasciare precauzionalmente Trieste - dove ha trovato un aiuto - per non farsi trovare dallo sfruttatore.
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