Mamme in cella, c’è Skype per parlare con i prof
Sono detenute, ma hanno il permesso di “andare a colloquio” con gli insegnanti dei propri figli, anche lontani. È la terza edizione del progetto “Parla con lei” promosso e attuato dalla onlus @uxilia, e finanziato dalla Regione, che porta al Coroneo una innovazione unica in Italia che tra poco si espanderà in tutte le carceri del Friuli Venezia Giulia (Tolmezzo, di massima sicurezza, escluso): le mamme detenute parlano attraverso skype, vigilate in partenza e in arrivo dai volontari dell’associazione, chiedono come va a scuola il figlio guardando in faccia l’interlocutore. Ne provano una grandissima emozione. Ne ricavano fra l’altro lo stimolo a non mollare col desiderio e l’impegno a tornare a una piena vita sociale e familiare.
Ieri all’interno del Coroneo ne hanno presentato i risultati il direttore Ottavio Casarano, il presidente di @uxilia Massimiliano Fanni Canelles, la responsabile operativa del progetto Gabriella Russian, Anna Buonomo, a capo del Servizio pedagogico del carcere, Alessandro Mendizza che ha realizzato un documentario di confessioni personali delle carcerate per lo Studio Openspace. E poi c’era lei, Rosa, detenuta da quasi 4 anni, che ha raccontato come sia fondamentale chiedere notizie dei tre figli, oggi lontani anche geograficamente. Come ha spiegato Casarano, le norme attuali sempre più scindono la reclusione come pena personale dal rischio di penalizzare anche i minori, i familiari, e dunque tendono con nuovi regolamenti a favorire e ampliare i fili di contatto, anche se i magistrati di sorveglianza (da cui @uxilia deve ottenere l’assenso per questi progetti) sono massimamente prudenti. Internet non entra in carcere, per esempio. Per ampliarne l’uso a scopo di comunicazione, il che sarebbe anche una grandiosa “spending review” per il ministero (i detenuti hanno diritto a 10 minuti settimanali di telefonata familiare, dovunque nel mondo la famiglia si trovi), bisogna modificare la legge.
Progetti attuabili subito però ce n’è ancora. Partirà adesso, col finanziamento del Rotary club Trieste Nord, “Detenuti e genitori: raccontami una favola”. Le favole raccontate in video dai detenuti saranno visionabili dai loro bambini, su Internet, ma anche da un pubblico generale.
Il progetto-skype era partito già con l’ex direttore Enrico Sbriglia, quest’anno ha coinvolto tre detenute (una delle quali deve ancora avere il suo colloquio speciale). Piccolo numero, ma molte carcerate sono straniere e l’operazione non può aver corso. Le donne al Coroneo sono 25 in questo momento.
Secondo Fanni Canelles, a nome di una associazione attiva in tutta Italia, in Europa e nei paesi più poveri e tristi del mondo a sostegno soprattutto di donne e bambini, «è importante che anche in situazioni di libertà limitata il genitore possa restare d’esempio al figlio, e interessarsi di lui, come per il figlio è determinante il contatto col genitore: non deve patire per le colpe altrui. E il contatto col corpo insegnante diventa infine un volano di cultura, una trasmissione di valori positivi. Trieste - ha aggiunto il medico della cooperazione - deve essere orgogliosa per aver accettato di lanciare questo progetto inedito che usa il lato migliore delle nuove tecnologie. Sembra sia semplice portare skype in carcere, invece non lo è. Altrove i magistrati negano il permesso. E perché avvenga il “contatto” vanno coordinati il carcere, la scuola e gli insegnanti, i nostri volontari da una parte all’altra d’Italia».
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