Maltauro: «Punto franco a Trieste, una muraglia»
TRIESTE. Che cosa c’è dietro il clamoroso abbandono di Portocittà, dietro l’ennesimo fallimento su Porto vecchio. Se lo chiedono molti. Anche se la società ha parlato coi termini netti di un ricorso al Tar. Chiedendo la nullità della concessione siglata nel 2010 a causa del persistere sull’area del regime di Punto franco. C’è dell’altro? E che cosa è successo veramente in questi due anni e mezzo? Al “forum” che si è svolto al Piccolo, all’indomani di un teso Comitato portuale in cui il “gran rifiuto” è stato messo a processo, hanno dato risposte Antonio Rigon (Banca Sinloc), presidente di Portocittà, Enrico Maltauro, amministratore delegato, e Luca Fantin, direttore dell’area immobiliare del gruppo Rizzani-de Eccher. E parla Maltauro.
Qual è il “vero” motivo per cui vi siste ritirati?
Partiamo dal ricorso. Chiediamo la nullità della concessione. Non è un ritiro, un abbandono. Abbiamo constatato difficoltà secondo noi insormontabili, esiste nell’area un Punto franco che impedisce alla società di sviluppare il progetto previsto dal Piano regolatore. Esiste una contraddizione fondamentale tra l’obiettivo della società, ma anche della comunità locale, e la possibilità pratica di realizzarlo con il Punto franco. Il che significa che in queste condizioni il progetto non è bandabile, non ottiene i finanziamenti.
Il punto nodale è che alla firma della concessione voi eravate al corrente della situazione, e nella concessione che avete firmato non sono contemplate condizioni vincolanti, frasi come “verrà tolto il Punto franco”...
Certo che lo sapevamo. Ma siccome il Porto franco è in palese contrasto con la volontà politica di sviluppare il Porto vecchio facendolo diventare parte integrante della città, pensavamo che che nei fatti questa situazione sarebbe stata superata. Invece si è verificato un “italico” conflitto di competenze. Il Porto non poteva assumersi l’obbligo di togliere un vincolo di competenza del ministero degli Affari esteri. C’era però un obbligo “sociale”.
E voi vi siete fidati?
Il nostro errore forse è stato un eccesso di imprenditorialità, di speranza, di visione del futuro. Ci siamo fidati della logica, delle volontà espresse. Abbiamo messo tempo e denaro. Ma in termini normativi e istituzionali non riusciamo a vedere uno sblocco.
Chi ha mancato, in questa partita?
Ha mancato il sistema italiano. Il ministero degli Esteri, il presidente del Consiglio, il Demanio, il Porto: presenze scarse. Il Comune non ha le competenze, nonostante la sua volontà non incide. Il Porto incide in modo non determinante. La Regione ha qualche possibilità ma c’è un grande conflitto di ruoli.
Siete però grandi aziende. Siete andati avanti senza una corazza protettiva dal punto di vista giuridico? Vi sarete ben consultati...
Certo, ci siamo consultati. Ma ancora adesso vedo che in Comitato portuale si sono dette parole in libertà. Concessioni tante, e a piccoli clienti? Morto un Papa se ne fa un altro?
L’assessore regionale Riccardi afferma però che dovete “scoprire” altre vostre carte.
Guardi, quando le banche mi scrivono che esistendo il Punto franco il progetto non è bancabile, non basta? Lo abbiamo scritto all’Autorità portuale il 18 dicembre. Perché il Comune non ha potuto traslocare al Magazzino 26 la Biblioteca civica? Perché l’area rischia di essere richiusa. Ho detto o no il mio sgomento quando era stata chiesta la sospensione solo per un altro anno?
E però siete stati ad aspettare gli eventi?
Sì, ma dopo due anni e mezzo vediamo che si è alzata una muraglia, fatta da molti componenti. Abbiamo mandato una lettera che non era un documento di modesta entità. Indicava elementi significativi di tipo “ostativo”. E non si può sempre avere come risposta “vedremo, faremo”, o qualche soluzione fantasiosa. Noi abbiamo fatto un’operazione-verità. Ora ognuno dice la sua, con posizioni anche legittimamente contrastanti. Ma il nostro piccolo merito è di aver fatto l’operazione-verità.
(g.z.)
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