«Mai restituita la salma del mio Alex»

La rabbia della madre Loredana Siriani Bertoli a un anno dalla misteriosa uccisione del cuoco che si era trasferito in Messico

Un anno di domande. Ma anche un anno senza risposte. «Un anno di misteri», sintetizza al telefono Loredana Siriani Bertoli. La sua voce è piena di rabbia, che si aggiunge all’infinita tristezza, alla disperazione per la perdita del figlio Alex Bertoli, il cuoco triestino di 28 anni ucciso all’inizio del maggio del 2013 in Messico, a Mazunte, un paesino nello Stato di Oaxaca. Sono trascorsi dodici mesi, durante i quali Loredana Siriani Bertoli ha chiesto più e più volte chiarezza, di sapere a che punto siano le indagini per risalire all’assassino o agli assassini di Alex, del movente dell’omicidio, e di poter riavere il corpo del ragazzo. Niente da fare, però: non ha avuto - spiega lei stessa - nessuna risposta concreta dall’Ambasciata italiana a Città del Messico (la donna è in contatto con il sostituto responsabile dell’Ufficio politico, Roberta Ronzitti) né dal Ministero degli Affari esteri. E ora si sfoga: «A distanza di un anno - dice, raggiunta telefonicamente mentre si trova in Germania, nella Bassa Sassonia, dove vive da alcuni anni assieme al marito - è una grande vergogna il fatto che io non abbia ancora riavuto il corpo o le ceneri di Alex. E nessuno mi ha mai detto il motivo. Ho posto mille domande all’Ambasciata... Ho chiesto - prosegue - l’esame tossicologico sul corpo di Alex, ma non c’è stata risposta. E non mi hanno detto neanche il giorno esatto in cui è morto».

Perché Alex, che a Mazunte si era trasferito assieme alla moglie Pamela Codardini con cui aveva aperto il ristorante “La Dolce Vita” sulla spiaggia, è stato brutalmente freddato? Chi è stato a seviziarlo, prenderlo a badilate e poi a finirlo bruciandolo vivo - come emerso dall’autopsia - poco lontano dal locale? Non si è saputo nulla di nulla. Qualche tempo prima della terribile tragedia, «Alex mi aveva scritto di aver preso una multa dell’equivalente di 4.500 euro - riprende la madre -, chiedendomi un aiuto economico. Quando è morto ho scoperto che aveva un debito, dell’equivalente di 4.500 euro, con un messicano. Allora ho chiesto di indagare perché mi sembrava una cosa assurda, sono tanti soldi per il Messico. Anche qui, nessuna risposta». Come pure alla richiesta di avere i tabulati telefonici del cellulare di Alex e di quello della moglie, richiesta volta a risalire anche alla misteriosa chiamata dopo la quale il cuoco triestino era uscito dal locale di Mazunte, finendo di lì a poco, evidentemente, fra le mani del suo o dei suoi carnefici. Ma c’è un ulteriore, angosciante, dettaglio: «Mi hanno fatto pressione dal Messico per avere il mio Dna, in modo da fare il raffronto con quello di mio figlio. Dopo tanti mesi - sospira - non erano sicuri del riconoscimento da parte della moglie». La quale, viste le condizioni del cadavere, era riuscita appunto a confermare si trattasse di Alex dal tatuaggio che il giovane aveva sul braccio. «Il 17 settembre scorso ho spedito tutto. Poi però mi sono venuti a dire - racconta la signora Loredana - di non avere i macchinari adatti all’esame del Dna e di aver trasferito il tutto a Città del Messico. E inoltre che l’analisi del Dna di mio figlio è complicata poiché è stata effettuata da ossa carbonizzate. Ma io dico: se mia nuora ha riconosciuto Alex dal tatuaggio, un lembo di pelle ci sarà o no?». Insomma, secondo la madre del cuoco triestino si è arrivati a «un anno di menzogne. Si arrampicano sugli specchi - prosegue con parole pesantissime che chiedono prima di tutto verità e giustizia - e secondo me o l’Ambasciata italiana o la magistratura messicana hanno qualcosa da nascondere. Io mi chiedo: o Alex è stato ucciso per sbaglio, oppure non è stato ammazzato come dicono loro, a badilate e poi bruciato. E inoltre ci sarebbe una specie di casa dove è morto: altra cosa su cui non ho mai avuto risposta».

Una storia tremenda. Dai contorni quantomai foschi. Una coltre di nebbia cui si aggiunge un altro inquietante particolare: «Ho saputo che il presunto assassino di Alex - continua Loredana Siriani Bertoli - è stato ucciso con un colpo di pistola. Quando ho chiesto informazioni in merito, mi è stato risposto che “non mi devo interessare della cronaca nera messicana”. Ma io sto parlando di mio figlio: cosa devono nascondere?». La donna è «ora in contatto con la Questura di Trieste - aggiunge, confermando che del caso è stata informata anche la Procura triestina -, che cercherà di aiutarmi a recuperare il corpo di Alex. Adesso - sottolinea con grande forza - non voglio che venga cremato, e desidero che questo sia molto chiaro. Per poter effettuare il confronto del mio Dna con il suo: se no, non saprò mai se quello è veramente mio figlio. Non ho più fiducia in loro». Il riferimento è alle autorità messicane. Ma ce n’è pure per l’Italia: «È una vergogna che nessuno, in un anno, mi abbia aiutato. Lo Stato italiano dov’è?».

Da qualche mese ormai, la madre e la moglie di Alex non si sentono. «Pamela è rimasta in Messico - illustra Loredana Siriani Bertoli - per avere giustizia per il marito. Poi, mi ha spiegato, per pagare il debito di mio figlio. Io i soldi che lui aveva in banca in Italia non li dò, non li darò ai messicani. Verranno consumati dagli interessi».

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