Magris: «Il Dante? Mi ha regalato l’ironia»
“Un classico”. Claudio Magris lo è da tempo avendo conquistato “da vivo” un posto nei Meridiani Mondadori. Un classico lo è anche per avere frequentato negli anni Cinquanta il Liceo Ginnasio Dante. “L’ex allievo vivente più prestigioso” come l’ha definito il Piccolo nell’articolo di presentazione del suo intervento nell’aula magna di via Giustiniano. «Cioè non ancora morto - scherza in modo scaramantico -. Ma per questo dovrete avere ancora molta, molta pazienza».
«Il tempo passa? Mica tanto» attacca la sua “non conferenza” che apre i festeggiamenti per i 150 anni della scuola più prestigiosa di Trieste (Petrarca a parte ovviamente) che da qualche anno a causa delle riforme scolastiche deve condividere la fama col Carducci. La citazione (la prima di una serie della sua lectio magistralis di un’ora) è all’incirca da “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez, una frase del mitico Aureliano Buendia. E sul tempo che non passa costruisce la sua lezione («Le conferenze sono assolutamente inutili») sul tema “Il Classico rende liberi”. Anch’essa una citazione ma alquanto dubbia. «È di Theodor Fontane, lo scrittore tedesco di Effi Briest» racconta Magris a una platea divertita. La frase sarebbe contenuta nel romanzo la “La signora Treibel, ovvero Quando cuore incontra cuore”. «Così assicurava una storia della letteratura tedesca - spiega lo scrittore -. Ma io non l’ho mai trovata. Forse è inventata». Magris parla tra lo studente emozionato della seconda A Riccardo Pilat (figlio del cantante Lorenzo) e la preside “poetica” Oliva Quasimodo.
Ad aprire i festeggiamenti l’ex rettore Giacomo Borruso chiamato a presiedere l’Associazione Liceo Dante 150. «Il liceo è nato prima del canale di Suez. A me ha dato il senso della libertà di cui parla Magris» ricorda l’ex studente Borruso, «distratto, irrequieto e soprattutto scansafatiche». Magris, invece, si dava parecchio da fare (con scarsi risultati in matematica). «È la seconda volta che parlo in questa aula - inizia -. La prima fu alla fine del 1956 o all’inizio del 1957. Il mio ultimo anno, la terza liceo. C’era un concorso della Dante Alighieri. Io vinsi con una pessima conferenza sul “mito asburgico”. Avrebbe dovuto vincere Sodaro. Ma siccome io ero del Dante e Sodaro del Petrarca, è giusto che abbia vinto io». La rivalità tra i due licei resiste al tempo che non passa. «Il liceo per me è stato un po’ il modello del mondo. Non ho nessuna nostalgia, la nostalgia è sempre falsa e stupida. Credo però di essere ancora quello di allora, il che non è un buon segno» ricorda “l’ex allievo vivente più prestigioso”. Il ginnasio, in fondo, è stata una scuola di vita e di amicizia. «Con Giovanni Gabrielli e Giorgio Rossman eravamo un triumvirato pronto a tutto. Un giorno mio padre venne a scuola e trovò Gabrielli fuori dalla porta, espulso dall’aula. “Non si preoccupi. Claudio arriva subito”. E infatti fu così».
Ma cosa resta del Dante? «Mi ha insegnato a essere serio e giocoso allo stesso tempo. A credere e a non credere. Ho imparato l’ironia antidolatrica. Il sentimento della relatività rispetto all’assoluto». Non c’entra Einstein, ma il “Classico” che rende liberi. E soprattutto non muta col passare del tempo. Un classico è per sempre.
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