Maggiore efficienza grazie ai dati aperti: i segreti del successo lombardo

Si tratta di uno strumento utilissimo per gli stessi enti pubblici, dicono due esperti. Con portali ricchi ed aggiornati si evita il giro dell'oca tra gli uffici alla caccia dei documenti. Tenere aggiornati i siti è fondamentale

Da quattro anni faccio attività di formazione per l’utilizzo degli open data nelle scuole di giornalismo, Ong e pubbliche amministrazioni. Quando ho iniziato c’era il deserto, e poche persone manifestavano l’interesse per questo argomento. Oggi invece sta crescendo ovunque: è un processo inarrestabile, non si torna più indietro».

Queste parole sono di Andrea Nelson Mauro, giornalista di Dataninja, agenzia di data journalism. È uno dei massimi conoscitori del tema in Italia: con i suoi lavori ha vinto il Data Journalism Award e l'European Press Prize.

Come spiegherebbe l’utilità degli open data a chi non ne ha mai sentito parlare?
Questo tipo di strumento serve non solo al cittadino ma anche all’amministrazione pubblica per fare un rendiconto della sua attività, in maniera puntuale. Ci sono le  PA che pubblicano dati sugli incidenti stradali, le prestazioni sanitarie, la qualità dell'aria o sul proprio operato. Pubblicandoli in formato aperto, abilitano certe persone (privati o altri enti) a creare nuove informazioni a partire da questi dati. Avere un portale efficiente è molto utile per gli stessi dipendenti: quando hanno bisogno di un dato, lo possono reperire lì invece che fare il giro dell’oca tra i vari uffici


Il tema si lega strettamente a quello dell’alfabetizzazione digitale.
Regioni come il Veneto hanno utilizzato bandi co-finanziati dal Fondo Sociale Europeo per attività di formazione dei propri dipendenti. Sicuramente bisogna spiegare a chiunque come leggere i dati, un’attività almeno in parte in carico alle PA.

Quali sono le tipologie di dati che è più utile condividere su questi portali?
Informazioni che permettano di fare scelte concrete sulle proprie vite. Essenzialmente indicatori Ocse come lavoro, salute, ambiente, mobilità. Non solo dati sulla spesa pubblica, quindi, che riguardano il discorso più generale sulla trasparenza.

Quali sono le esperienze più virtuose sul fronte dei dati aperti in Italia?
A livello regionale spicca il caso della Lombardia, il cui portale si basa sulla stessa tecnologia (Socrata) di quello del Fvg. Una piattaforma che costa poco, non oltre 20-30mila euro l’anno, e che consente di concentrarsi sulla fase di pubblicazione dei dati. Alla visualizzazione pensa il fornitore del servizio. Nel Lazio la pubblica amministrazione si è fatta anche carico di interpretare questi dati, non solo di pubblicarli, creando uno speciale sotto-sito sulla sanità.

Precisazione di Andrea Nelso Mauro: «Ho collaborato nel 2016 con Regione Lombardia su un progetto di formazione per giornalisti e quindi la mia opinione potrebbe essere vista come 'di parte', ma i risultati e la differenza qualitativa del progetto Opendata Lombardia rispetto al resto d'Italia sono indiscutibili a mio giudizio».
 


A livello comunale quali sono i Municipi più all’avanguardia?
Forse il Comune migliore in questo momento è quello di Palermo. Non so quanto consapevolmente ma è riuscito ad innescare una serie di meccanismi open government fatto di riunioni periodiche tra gli amministratori e i cittadini, per esempio. Anche Messina è ben messo. Poi la situazione varia a seconda della specificità locale: ci sono portali ricchi di dati e informazioni, come quello di Bologna, e altri molto antichi, come quello di Firenze. Il punto non è tanto quanti dati pubblichi, ma quanto essi siano importanti per le vite delle persone. Un comune laziale ha lanciato un portale ma i dataset in esso contenuti sono per lo più ridondanti.

A proposito, proprio a Palermo un dipendente comunale dell'Area tecnica della riqualificazione urbana ha realizzato un atlante interattivo in cui poter mettere a confronto la mappa della città con quelle del 1935, 1956 e 1987. Un progetto “aperto” ispirato dall’esperienza di un altro ente virtuoso: la biblioteca comunale di Trento. 

Regione Lombardia, i segreti del successo. Daniele Crespi, Responsabile Innovazione Digitale per Lombardia Informatica, è uno dei principali artefici della rivoluzione open data in Lombardia, regione al primo posto nelle classifiche AgID per disponibilità di banche dati pubbliche in formato aperto in Italia. L’amministrazione locale lombarda ne fa una cifra stilistica del proprio operato se è vero che il Comune di Milano ha istituito addirittura un assessorato preposto a Partecipazione, Cittadinanza attiva e Open data (affidato a Lorenzo Lipparini).

Come avete raggiunto nei cinque anni di vita del vostro portale una posizione d’avanguardia in Italia?
L’amministrazione ha definito una governance del progetto prevedendo un referente open data in ogni direzione regionale. Queste sono le persone che formiamo, usiamo per indagare sui dati disponibili e raccogliere le richieste che arrivano dall’esterno. Nel caso degli enti locali, quando sono interessati a pubblicare qualcosa sul nostro portale facciamo con loro delle giornate di formazione: poca teoria e tanta pratica. Diciamo agli interessati di presentarsi con i dati, in qualunque formato, e facciamo loro vedere come pubblicarli. Lo strumento è molto semplice.

Non vi limitate solo alla formazione, però.
Esattamente. Mettiamo a disposizione degli stessi enti locali il portale e la sua tecnologia. Finora hanno aderito pochi ma significativi comuni come Bergamo, Monza, la città metropolitana di Milano o Cremona, di cui a breve lanceremo il “micro-sito”. Anche lo stesso Consiglio Regionale lombardo ha iniziato a pubblicare in open data. Coinvolgiamo i comuni e mettiamo loro a disposizione gratuitamente il portale e gli strumenti per la pubblicazione automatica.

Quante persone ci vogliono per fare funzionare la macchina degli open data in Lombardia?
Poche. Abbiamo una persona impiegata full-time che, per la sua brillantezza, fa quasi il lavoro di tre persone e cura tutte le fasi, dall’estrazione alla ripulitura passando per la geocodifica dei dati. Io e altri due colleghi ce ne occupiamo per una parte del nostro tempo. Un’ultima persona, infine, segue la parte di comunicazione.

La facilità di utilizzo da parte degli impiegati addetti al caricamento dei dati è fondamentale.
Sì, la pubblicazione in automatico è una delle chiavi di volta dell’open data fatto seriamente. Non è possibile immaginare di mantenere la freschezza dei dati quando si devono caricare a mano e sono soggetti a frequenti cambiamenti (si pensi a quelli del meteo, aggiornati ogni sei ore). Il rinnovo dei dati avviene in questi casi in automatico.

Quale il segreto per rendere tutte queste tabelle di dati davvero accessibili ai cittadini? 
Fare vera trasparenza non vuol dire solamente fare tabellone che nessuno capisce. Nel piccolo comune di Isso, per esempio, c’è un attivista che si dà molto da fare per sfruttare le funzionalità di data visualisation e rendere comprensibili i dati ai cittadini.

Cosa non deve fare una pubblica amministrazione che vuole aprirsi alla cittadinanza? 
Nel campo dell’open data siamo passati da una prima fase d’entusiasmo, in cui gli enti pubblici pubblicavano tutto quello che avevano sottomano, ad una fase più responsabile. Si è capito che bisognava puntare su dati utili e interessanti, che fossero: freschi, corretti e completi. Se un dato è vecchio di tre anni, è difficile che sia utile. Pubblicare informazioni tanto per fare ha un costo, e se non porta a nessun beneficio forse è meglio lasciar stare

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