Maggiore efficienza grazie ai dati aperti: i segreti del successo lombardo

Da quattro anni faccio attività di formazione per l’utilizzo degli open data nelle scuole di giornalismo, Ong e pubbliche amministrazioni. Quando ho iniziato c’era il deserto, e poche persone manifestavano l’interesse per questo argomento. Oggi invece sta crescendo ovunque: è un processo inarrestabile, non si torna più indietro».
Queste parole sono di Andrea Nelson Mauro, giornalista di Dataninja, agenzia di data journalism. È uno dei massimi conoscitori del tema in Italia: con i suoi lavori ha vinto il Data Journalism Award e l'European Press Prize.
Come spiegherebbe l’utilità degli open data a chi non ne ha mai sentito parlare?
Il tema si lega strettamente a quello dell’alfabetizzazione digitale.
Regioni come il Veneto hanno utilizzato bandi co-finanziati dal Fondo Sociale Europeo per attività di formazione dei propri dipendenti. Sicuramente bisogna spiegare a chiunque come leggere i dati, un’attività almeno in parte in carico alle PA.

A livello comunale quali sono i Municipi più all’avanguardia?
Forse il Comune migliore in questo momento è
quello di Palermo. Non so quanto consapevolmente ma è riuscito ad innescare una serie di meccanismi open government fatto di riunioni periodiche tra gli amministratori e i cittadini, per esempio. Anche Messina è ben messo. Poi la situazione varia a seconda della specificità locale: ci sono portali ricchi di dati e informazioni, come quello di
Bologna, e altri molto antichi, come quello di Firenze. Il punto non è tanto quanti dati pubblichi, ma quanto essi siano importanti per le vite delle persone. Un comune laziale ha lanciato un portale ma i dataset in esso contenuti sono per lo più ridondanti.
A proposito, proprio a Palermo un dipendente comunale dell'Area tecnica della riqualificazione urbana ha realizzato un atlante interattivo in cui poter mettere a confronto la mappa della città con quelle del 1935, 1956 e 1987. Un progetto “aperto” ispirato dall’esperienza di un altro ente virtuoso: la biblioteca comunale di Trento.
Regione Lombardia, i segreti del successo. Daniele Crespi, Responsabile Innovazione Digitale per Lombardia Informatica, è uno dei principali artefici della rivoluzione open data in Lombardia, regione al primo posto nelle classifiche AgID per disponibilità di banche dati pubbliche in formato aperto in Italia. L’amministrazione locale lombarda ne fa una cifra stilistica del proprio operato se è vero che il Comune di Milano ha istituito addirittura un assessorato preposto a Partecipazione, Cittadinanza attiva e Open data (affidato a Lorenzo Lipparini).

Come avete raggiunto nei cinque anni di vita del vostro portale una posizione d’avanguardia in Italia?
L’amministrazione ha definito una governance del progetto prevedendo un referente open data in ogni direzione regionale. Queste sono le persone che formiamo, usiamo per indagare sui dati disponibili e raccogliere le richieste che arrivano dall’esterno. Nel caso degli enti locali, quando sono interessati a pubblicare qualcosa sul nostro portale facciamo con loro delle giornate di formazione: poca teoria e tanta pratica. Diciamo agli interessati di presentarsi con i dati, in qualunque formato, e facciamo loro vedere come pubblicarli. Lo strumento è molto semplice.
Non vi limitate solo alla formazione, però.
Esattamente. Mettiamo a disposizione degli stessi enti locali il portale e la sua tecnologia. Finora hanno aderito pochi ma significativi comuni come Bergamo, Monza, la città metropolitana di Milano o Cremona, di cui a breve lanceremo il “micro-sito”. Anche lo stesso Consiglio Regionale lombardo ha iniziato a pubblicare in open data. Coinvolgiamo i comuni e mettiamo loro a disposizione gratuitamente il portale e gli strumenti per la pubblicazione automatica.
Quante persone ci vogliono per fare funzionare la macchina degli open data in Lombardia?
Poche. Abbiamo una persona impiegata full-time che, per la sua brillantezza, fa quasi il lavoro di tre persone e cura tutte le fasi, dall’estrazione alla ripulitura passando per la geocodifica dei dati. Io e altri due colleghi ce ne occupiamo per una parte del nostro tempo. Un’ultima persona, infine, segue la parte di comunicazione.
La facilità di utilizzo da parte degli impiegati addetti al caricamento dei dati è fondamentale.
Sì, la pubblicazione in automatico è una delle chiavi di volta dell’open data fatto seriamente. Non è possibile immaginare di mantenere la freschezza dei dati quando si devono caricare a mano e sono soggetti a frequenti cambiamenti (si pensi a quelli del meteo, aggiornati ogni sei ore). Il rinnovo dei dati avviene in questi casi in automatico.
Quale il segreto per rendere tutte queste tabelle di dati davvero accessibili ai cittadini?
Fare vera trasparenza non vuol dire solamente fare tabellone che nessuno capisce. Nel piccolo comune di Isso, per esempio, c’è un attivista che si dà molto da fare per sfruttare le funzionalità di data visualisation e rendere comprensibili i dati ai cittadini.
Cosa non deve fare una pubblica amministrazione che vuole aprirsi alla cittadinanza?
Nel campo dell’open data siamo passati da una prima fase d’entusiasmo, in cui gli enti pubblici pubblicavano tutto quello che avevano sottomano, ad una fase più responsabile. Si è capito che bisognava puntare su dati utili e interessanti, che fossero: freschi, corretti e completi. Se un dato è vecchio di tre anni, è difficile che sia utile. Pubblicare informazioni tanto per fare ha un costo, e se non porta a nessun beneficio forse è meglio lasciar stare
Riproduzione riservata © Il Piccolo