Mafie a Nordest: ecco come le n'drine s'infiltrano nel territorio


Indizi di presenze stabili, radicate, non mancano. Anzi. Le tre mafie più note - cosa nostra, ’ndrangheta e camorra- da qualche anno sono alle prese con lo sfruttamento intensivo della ricchezza del Nord Est. Fantasie? Non proprio. E per capire meglio affidiamoci all’autorevole procura nazionale antimafia guidata da Federico Cafiero De Raho, che nell’ultima relazione annuale a proposito del Friuli Venezia Giulia scrive: «I collaboratori di giustizia hanno fornito un allarmante spaccato circa la presenza e le attività condotte nel tempo dalle consorterie criminali in regione, che spaziano dal traffico di armi e stupefacenti (specie le cosche calabresi) alla spartizione del Nord Est, con il patto di “non belligeranza” nei nuovi territori controllati, in particolar modo, del Fvg, tra famiglie organiche o collegate alla ‘ndrangheta.
Le attività investigative confermano la presenza in Regione di soggetti organici alle ‘ndrine i quali, pur continuando a mantenere stretti rapporti con le località di origine, sembrano oramai integrati nel tessuto socio-economico locale, operando in particolar modo al settore edile, estrattivo e del trasporto in conto terzi». Sembra di leggere i vecchi rapporti investigativi sull’Emilia Romagna, quando in tanti preferivano girarsi dall’altra parte nonostante i detective segnalassero la pericolosità di una mafia spesso disarmata ma non per questo meno violenta nei metodi di penetrazione del mercato. Una mafia che non spara sa convincere in altro modo. Per esempio con la corruzione. La mazzetta al posto della lupara. La stessa indifferenza che ritrovavamo in Lombardia, Piemonte, Liguria, Valle d'Aosta. «La mafia qui da noi? Figurarsi».
Poi però la realtà è emersa a suon di inchieste e arresti. Imprenditori, professionisti, sindaci, assessori, si sono dovuti ricredere e hanno dovuto fare i conti con i processi - anzi maxi processi - contro le cosche settentrionali. E hanno dovuto fare i conti persino con comuni sciolti per mafia. Del resto è dagli inizi del Duemila che esperti, studiosi, magistrati, ripetono che non esiste territorio immune dal contagio mafioso. Ma forse il termine contagio è fuorviante. Calza meglio il termine radicamento, perché i clan prosperano solo se c’è chi li accoglie. Solo se qualcuno del luogo apre loro le porte, le casseforti, i salotti che contano. Possiamo affermare ciò in virtù di quanto è accaduto negli ultimi dieci anni nelle regioni del Nord Italia. Oggi lo possiamo dire con certezza sulla base di sentenza passate in giudicato per fatti recenti ma che ricostruiscono la storia delle mafie “padane” a partire dagli anni ’80. Del resto è sufficiente rileggere questi atti giudiziari per trovare già lì riferimenti al Nord Est.
Al Veneto e anche al Friuli Venezia Giulia. Indizi, appunto. Che diventano qualcosa di più scorrendo le pagine dell’ultima relazione della procura nazionale antimafia in riferimento a questi territori. «L’interesse imprenditoriale delle organizzazioni criminali non deve stupire se viene letto con riferimento alla situazione socio-economica della regione Friuli Venezia Giulia, caratterizzata da un tessuto costituito da piccole e medie imprese e con evidenti segni di sviluppo industriale e commerciale. La forte vocazione economica del territorio, interessato - nell’ultimo periodo - da ingenti investimenti pubblici per la realizzazione di opere di carattere strategico, lo rendono vulnerabile al fisiologico rischio di tentativi di infiltrazione di ambienti criminali». E ancora, si legge nel documento, «rappresentanti delle ’ndrine sono diventati, con il tempo, referenti fissi di clan attivi in Calabria in ordine alle più svariate attività illegali da svolgersi al Nord o fungono da ricettori di istanze tese all’allargamento degli interessi illegali dei clan suddetti o agevolano il percorso di soggetti inviati dai clan fornendo aggiornate informazioni circa le risorse del territorio.
Ovviamente, non può sottacersi anche la funzione di “ponte”, spesso assunta dagli stessi personaggi, da anni insediatisi nel Nord Est, con boss detenuti nelle carceri del Friuli Venezia Giulia». Per questi motivi, che destano preoccupazione, la procura antimafia di Trieste guidata da Carlo Mastelloni ha delineato una strategia per il contrasto alle cosche. «Una strategia di medio-lungo periodo che, in modo unitario, si possa contrapporre - oltre che alla commissione dei singoli reati - all’esistenza stessa della rete illegale», si legge nel documento dell’Antimafia guidata da De Raho che ha raccolto le segnalazioni dell’ufficio giudiziario triestino. In altre parole è necessario indagare a 360 gradi, non fermarsi al singolo reato “spia”. Ma inserirlo in un contesto più ampio. Mettere insieme frammenti che possono sembrare slegati tra loro per ricostruire un quadro più generale. Solo così è possibile contrastare la presenza delle mafie fuori dai confini tradizionali.

Nella relazione finale della Commissione Antimafia in carica la scorsa legislatura, presieduta da Rosy Bindi, il Nordest è definito un’area «molto attrattiva» per le mafie, e interessata da «attività criminali più intense di quanto finora emerso». Una sorpresa? Ovviamente no. Per fortuna sono rimasti in pochi a inseguire il mito d’un Nord integro e operoso opposto a un Meridione corrotto e parassitario. Si rivolge anche a quei pochi, e forse soprattutto a loro, l’appuntamento di Contromafiecorruzione, che quest’anno abbiamo scelto di portare proprio a Trieste. Puntiamo i riflettori sul Nord Est per un motivo ben preciso. Se storicamente le mafie hanno radici al Sud, da decenni ormai sappiamo che i frutti li raccolgono al Nord, dove l’economia è più solida e maggiori sono le possibilità di fare affari. Questo conferma la necessità di vigilare non solo sull’aspetto più strettamente criminale del fenomeno, ma sulla sua capacità di insinuarsi nel cuore del sistema attraverso la corruzione.
Va innalzata la guardia contro la sua abilità di infiltrarsi e radicarsi attraverso le speculazioni, il condizionamento degli appalti, l’uso di prestanome e società fittizie. Numerose inchieste, negli ultimi anni, hanno scoperchiato una rete impressionante di infiltrazioni e connivenze nel tessuto imprenditoriale e politico in Lombardia, Emilia, Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta. Amministrazioni locali sciolte per mafia; interessi emersi in gruppi industriali di punta e nel settore delle grandi opere; cospicui sequestri di beni. In Veneto, Trentino Alto Agide e Friuli Venezia Giulia le mafie sono rimaste più sottotraccia. Ma questo non significa che la loro presenza non stia già ora inquinando e soffocando quello che è uno dei principali motori di sviluppo del Paese. Prenderne subito coscienza significa agire in tempo. Attivare immediatamente quegli anticorpi sociali e culturali di cui questa terra è certamente capace.
Ecco perché a Contromafiecorruzione si parlerà, sì, di indagini e processi. Ma si parlerà anche di percorsi educativi nelle scuole, affinché siano in primis i giovani a riconoscere e respingere le false promesse dell’illegalità. Si parlerà di formazione offerta agli amministratori pubblici, perché non si facciano trovare impreparati di fronte a un certo tipo di lusinghe criminali. Si parlerà di strumenti di sostegno all’imprenditoria, perché non è possibile che proprio quando il Sud iniziava a reagire, il sistema dell’omertà e della sottomissione interessata sia stato così facilmente “importato” al Nord. Si parlerà di diritti e giustizia sociale come delle tutele primarie per impedire che le fasce più deboli della popolazione cadano nelle maglie dello sfruttamento illegale. Parleremo di mafie e corruzione a Trieste, perché la gente schietta e laboriosa di questo territorio deve essere messa in condizione di conoscere e reagire.
Lo dobbiamo alla storia di questo territorio. E lo dobbiamo in particolare alla memoria di chi, originario di queste zone, ha sacrificato la vita per fare dell’Italia un Paese migliore, più giusto e pulito. Penso ad esempio all’agente di Polizia Eddie Walter Cosina, che faceva parte della scorta del giudice Paolo Borsellino e insieme a lui fu ucciso nell’attentato di via D’Amelio a Palermo.
E penso anche all’operatore Miran Horvatin, morto con la giornalista Ilaria Alpi in Somalia per aver voluto documentare traffici sporchi sulla pelle di un popolo martoriato. Dopo 25 anni, malgrado l’impegno di magistratura e famigliari, quel delitto rimane senza colpevoli. Non rendiamoci, noi, colpevoli di dimenticarlo, ma attraverso un impegno quotidiano, capillare, senza compromessi, diventiamo attori di una memoria viva, cioè davvero capace di generare cambiamento.
Giovanni Falcone in Cose di Cosa nostra, immaginando che questa frase andasse scolpita «sullo scranno di ogni magistrato, di ogni poliziotto». Abbiamo semplicemente pensato di fare qualcosa, anche noi de Il Piccolo, quando abbiamo saputo che Libera aveva scelto Trieste come sede della quinta edizione degli Stati Generali dell’Antimafia. E oggi accogliamo ControMafieCorruzione con questa prima pagina, diversa dalle solite, che abbraccia l’intero giornale come vorremmo che la città e la Venezia Giulia accogliessero lo sforzo di chi pone la lotta quotidiana contro la criminalità organizzata in cima all’agenda degli impegni, individuali e collettivi. ControMafieCorruzione ha scelto quest’anno un passaggio a Nordest per rendere chiaro, ancora una volta e a tutti, che il pericolo delle infiltrazioni non ha confini geografici, né si arresta di fronte alle differenze di storia o di realtà economica e sociale.
E neppure di fronte alla diversa connotazione ideologica o politica di un territorio, di una popolazione. Ed è, questo male, indipendentemente dal nome o dall’etichetta che gli viene affibbiato, capace di mettere a repentaglio le vere sicurezze di ogni comunità, del suo tessuto connettivo e vitale. Tre giorni di confronto, studio, approfondimento: relazioni virtuose, tra chi in ogni campo avverte la necessità di uno sforzo ulteriore per mettere in rete le conoscenze acquisite sul fenomeno, condividerle in modo che formino consapevolezza, che nessuno possa più dire di non sapere, al massimo possa solo scegliere (colpevolmente) di fingerlo.
E da lì muovere con un’attenzione più profonda e con buone pratiche nuove: da unire a quelle che molti risultati hanno già ottenuto e che pure ogni giorno ci si rende conto possano non bastare di fronte all’allungarsi dei tentacoli, alla straordinaria capacità di mimetizzarsi delle mafie nella conquista di nuovi terreni, di più cospicue illecite ricchezze, di potere reale di pochi a danno di tutti e di tutto. Essere presenti e vigili ogni giorno su questo fronte è il “poter fare qualcosa” dei mezzi di informazione. Essere al fianco oggi di chi questa sfida la incarna da anni è un segno e una scelta. Benvenuta a Trieste, Libera.
Prende il via oggi a Trieste “ControMafieCorruzione Nord Est, gli Stati generali dell’antimafia” promossi dall’associazione Libera. Una tre giorni di lavori - con chiusura domenica - dedicato al confronto, allo studio, all’approfondimento programmatico di idee e dei risultati conseguiti dall'antimafia civile, sociale e responsabile. La convention, giunta quest’anno alla V edizione, vedrà ancora come protagonista il movimento antimafia in tutte le sue declinazioni, in un connubio deciso e indispensabile che coinvolge i rappresentanti della politica, delle istituzioni, i cittadini di ogni età e professione, le scuole e le università. Nella costante lotta contro le mafie e l’illegalità, quest’anno si è voluto scegliere Trieste per porre l’accento sul Nord-Est: si intende studiare la mano invisibile che viene infiltrandosi in Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto, analizzando soprattutto le reazioni di risposta e difesa.

Si partirà dunque da un’analisi condotta da Libera, grazie alla ricerca internazionale LiberaIdee presentata nell’ottobre 2018, dalla quale si desume nitidamente l’esistenza di una piovra sempre più mimetizzata, camaleontica e talvolta persino normalizzata nel tessuto sociale. Il tutto in previsione di un “Passaggio a Nord-est” verso Padova, il 21 marzo per la XXIV Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie. Oggi alle 16.30 nell’aula magna dell’Università il via ufficiale ai lavori con una plenaria alla quale interverranno il presidente e fondatore di Libera don Luigi Ciotti, Enzo Ciconte dell’Università di Pavia e di Roma, Gianni Belloni dell’Università di Torino, il presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra e infine Gian Carlo Caselli, presidente onorario di Libera. Saranno inoltre presenti per il saluto di apertura il sindaco Dipiazza, il prefetto Annapaola Porzio e il procuratore della Repubblica di Trieste Carlo Mastelloni.
A seguire verranno presentati da Francesca Rispoli i dati della ricerca Liberaldee. La giornata di domani invece, sarà dedicata a quattro aree tematiche affrontate sotto forma di seminari in programma dalle 9.30 alle 17.30. Si va dal ruolo delle mafie e delle economie illecite nelle rotte delle migrazioni (aula magna del liceo Dante) al focus sulla Mala del Brenta (Sala Bazlen di Palazzo Gopcevic). Dalla sfida della lotta al riciclaggio (sede Cisl in piazza Dalmazia) fino al consumo del suolo e ai traffici di rifiuti (ricreatorio Toti in via del Castello). Domenica poi la conclusione degli Stati generali alle 9.30, al Teatro Miela in piazza duca degli Abruzzi 3. Dopo il saluto do Michele Penta, presidente dell’Osservatorio antimafia Fvg e l’introduzione di Lorenzo Frigerio di LiberaInformazione, sono previsti gli interventi di Giuseppe Governale, direttore della Direzione Investigativa Antimafia, Federico Cafiero De Raho, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo e nuovamente don Luigi Ciotti. Che darà a tutti i presenti l’arrivederci a Padova il 21 marzo.
“Continuità nel quotidiano, proposte, progetti” e “Noi nella condivisione e nella corresponsabilità”. Sono i “fari” da seguire per incanalare l’indignazione contro le mafie e la corruzione. E sono soprattutto le massime di Libera, che dal 1995 combatte l’illegalità nella speranza di poter abbracciare una società nuova, libera dalla criminalità organizzata e da chi l’alimenta. Un’associazione che da sempre promuove con impegno «la giustizia sociale, la ricerca di verità, la tutela dei diritti, una politica trasparente, una legalità democratica fondata sull’uguaglianza, una memoria viva e una cittadinanza all’altezza dello spirito e delle speranze della Costituzione». Sulla scia di questa potente locomotiva costruita da don Luigi Ciotti sono nati poi 20 coordinamenti regionali, 82 coordinamenti provinciali e 278 presidi locali: una diffusa articolazione territoriale, non soltanto in Italia ma anche a livello internazionale, con 80 organizzazioni aderenti al network di Libera Internazionale, in 35 Paesi d’Europa, Africa e America Latina. In questa rete associativa si inserisce la divisione Libera del Friuli Venezia Giulia, coordinata da Marina Osenda.
«L’attività di Libera Friuli Venezia Giulia, essenzialmente culturale, comprende azioni di autoformazione attraverso presidi e sensibilizzazione tramite conferenze, incontri pubblici e presentazioni di libri - spiega -. Ancor più fondamentale è l’attività che svolgiamo nelle scuole e nell’università con molti progetti». Esistono poi iniziative operative: in Camera di Commercio è stato messo a disposizione uno sportello antiraket e antiusura rivolto a chi versa in gravi situazioni economiche e può diventare o diventa preda delle illegalità. Spazio anche a tematiche delicate come il contrasto al gioco d’azzardo e alle infiltrazioni, e alla celebrazione della Memoria delle vittime innocenti delle mafie, il primo giorno di primavera. «Faccio parte di Libera da 12 anni - prosegue Osenda -. È una grandissima soddisfazione trovarmi dove sono ora, soprattutto in occasioni degli Stati Generali dell’antimafia: è il coronamento di un impegno; la repressione delle mafie non è più opera giudiziaria e investigativa, ma anche della società civile in termini di consapevolezza e assunzione di responsabilità. E la sensazione - conclude la coordinatrice - è quella che ci siamo!»
Venerdì 1 febbraio
TRIESTE «Il problema del nostro Paese non sono i migranti: il problema sono i mafiosi». L’ha affermato ieri don Luigi Ciotti durante la plenaria d’apertura del convegno nazionale di Libera, che si è aperto dunque con tanti riferimenti all’attualità. Nell’aula magna dell’Università, gremita per l’occasione, fulcro dei lavori è stata la presentazione di “LiberaIdee”, il dossier di Libera sul fenomeno della criminalità organizzata in Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino-Alto Adige. Numerose le presenze illustri, tra cui quella del presidente della Commissione parlamentate antimafia Nicola Morra. La giornata si è aperta con i saluti delle autorità locali. Sono intervenuti il rettore Maurizio Fermeglia, il sindaco Roberto Dipiazza, il prefetto Annapaola Porzio, il procuratore generale Dario Grohmann e il procuratore capo Carlo Mastelloni. Il governatore Massimiliano Fedriga, impossibilitato a presenziare per questioni di salute, ha fatto pervenire un messaggio. Francesca Rispoli, della presidenza di Libera, ha esposto i risultati del report sul Nordest.
Ne è emerso un quadro in cui la criminalità organizzata, a livello locale, non agisce in maniera indifferenziata. Nelle Tre Venezie le sue attività principali sono infatti traffico di stupefacenti (58,9%), lavoro nero (31,3%) e riciclaggio (23,3%). Nel Fvg, nello specifico, spicca in particolare il riciclaggio. Nella nostra regione, solo nel 2017, sono state condotte 266 operazioni sospette di riciclaggio, con diretta attinenza alla criminalità organizzata: in Veneto, che pure è molto più esteso, se ne sono contate poche di più, e cioè 280. Sempre in Fvg nel 2017 si sono registrate 444 operazioni antidroga: un incremento del 35,4% rispetto all’anno precedente. La percezione del fenomeno è tuttavia ridotta, rispetto alla sua reale entità. Tornando alla dimensione del Triveneto, quasi la metà degli intervistati (47,3%) pensa che la mafia a Nordest sia marginale. Solo il 17,5% ritiene invece che la presenza mafiosa locale sia preoccupante e socialmente pericolosa. Una parte del report è dedicata al tessuto sociale: sono state messe in luce la ridotta tendenza all’associazionismo da parte degli abitanti del territorio e il loro rapporto con la politica. Quasi un intervistato su due non aderisce ad alcuna associazione. Chi lo fa è attivo soprattutto nei mondi dello sport (41,3%), del volontariato sociale (29,3%) e della cultura (21,6%).
La politica è concepita come una sfera “altra” rispetto al vissuto quotidiano dei singoli: solo il 6,9% degli intervistati è politicamente impegnato. La maggioranza (49,5%) si informa ma non partecipa. Il 25,7% è disinteressato o addirittura disgustato dalla politica. Particolarmente applaudito è stato l’intervento di don Ciotti, fondatore e presidente di Libera. «L’opinione pubblica è ferma alle stragi di Capaci e via D’Amelio, ma nel frattempo le mafie sono profondamente cambiate – ha affermato –. Hanno progressivamente allargato il proprio raggio d’azione: oggi non c’è regione esente. Il loro potere si consolida laddove c’è una più accentuata vocazione imprenditoriale. Il problema del nostro Paese non sono i migranti: sono i mafiosi».
#Trieste #2febbraio la seconda giornata di #Contromafiecorruzione #Libera vede 8 gruppi al lavoro con 80 relatori e quasi 400 iscritti. I temi trattati: #migranti #religioni #mafie #NordEst #saperi #corruzione #riciclaggio #ambiente #agromafie #caporalato https://t.co/aJjkERGR8P pic.twitter.com/VDEt5jJm7X
— Lorenzo Frigerio (@lorenz_frigerio) 2 febbraio 2019
Non è stato l’unico riferimento all’attualità: «Hanno fatto della legalità un idolo, una bandiera che tutti sventolano – ha proseguito Ciotti –. Una parola che ci hanno rubato, svuotandola del suo significato. Hanno dimenticato che essa è il mezzo e non il fine: quest’ultimo è la giustizia». E ancora: «Le leggi devono tutelare i diritti, non il potere. Se la politica non tutela il bene comune tradisce la sua essenza».
“Possiamo sempre fare qualcosa”, diceva Giovanni Falcone. Anche un’edizione de Il Piccolo così, a partire dalla prima pagina. Benvenuta, #Libera. A Trieste per gli Stati Generali dell’Antimafia, #contromafiecorruzione il passaggio a Nord Est di chi non si arrende. @il_piccolo c’è pic.twitter.com/AZfmVrFyf9
— Enrico Grazioli (@engraz) 1 febbraio 2019
Il pentastellato Morra, presidente della Commissione parlamentate antimafia, ha citato Borsellino e la Costituzione: «Parlatene, ragionatene, soprattutto con i ragazzi», ha detto: «Soprattutto loro hanno la responsabilità del futuro. Bisogna effettuare quello scatto in più, per dare pienamente atto al terzo articolo della Carta: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”». Morra ha dunque centrato l’intervento sul fenomeno dell’elusione fiscale, sottolineando come il Nordest non ne sia esente. Sono intervenuti inoltre Carlo Caselli, presidente onorario di Libera; il professor Gianni Belloni, dell’Università di Torino ed Enzo Cicconte, docente all’Università di Pavia.
Sabato 2 febbraio
Durante la seconda giornata di dibattiti tra palazzo Gopcevich e il Museo Sartorio:
Domenica 3 febbraio
«Le mafie hanno un modo insidioso di graduale infiltrazione nei territori in cui si è meno predisposti a cogliere i segnali delle loro presenze». Al Nord «segnali ce ne sono stati diversi». Lo ha sottolineato il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, all’incontro organizzato a Trieste da Libera, dal titolo "Contromafiecorruzione", durante la terza e ultima giornata degli Stati generali dell'associazione a Trieste.
«Oggi le mafie si pongono nel territorio con società - ha detto De Raho - : sono sempre più affari e meno territorio. Eppure sono tantissimi gli appartenenti alle organizzazioni mafiose presenti nel nord Italia. Laddove non sono apparentemente presenti è perchè probabilmente non le si è cercate a sufficienza».
E' stato ance tempo per approfondire della revoca della scorta al giornalista Sandro Rotolo che deriva «evidentemente da valutazioni che gli organismi, ai quali compete, esprimono. Sono del parere che i soggetti a rischio vanno sempre protetti. Di volta in volta i parametri sono quelli anche della maggiore visibilità, del tipo di inchieste, di tutto ciò che si esprime nell'ambito di un'attività lavorativa giornalistica». Così sempre il procuratore nazionale antimafia De Raho a margine di «Contromafiecorruzione». «È evidente - ha affermato il procuratore - che lo Stato si trova ad affrontare tantissime problematiche proprio in ordine al rischio delle persone. È anche evidente che il diritto alla sicurezza non deve mai ridurre la sicurezza dei diritti». Cafiero De Raho ha poi ricordato un incontro ad Arezzo con la presenza del giornalista Paolo Borrometi, «che ha raccontato tanti episodi che sono avvenuti in suo danno. Questo perché non si è intervenuto in tempo. Però si è potuto salvare la sua vita perche una scorta gli è stata data e gli è stata mantenuta. Questo senza voler creare polemiche, spettano ad altri organismi». Le «armi» per combattere la criminalità organizzata sono quelle «della società civile».
«Serve una spinta dal basso». «Penso che quello che le forze di polizia e la magistratura hanno fatto negli ultimi 25 anni sia quasi il massimo. Tantissimo è stato fatto. Però non basta». Così il direttore della Dia, Giuseppe Governale, anche lui presente a Trieste per «Contromafiecorruzione» promosso da Libera. «Ci sono state delle epoche - ha affermato - in cui la mafia ha vissuto, pensiamo agli anni 20 del 900, e ha subito forti attacchi militari. Lei ha saputo consolidarsi e soprattutto aspettare il momento propizio per ritornare in auge. In questo momento si sta adattando all'offensiva. Spera che i riflettori cadano». La «migliore soluzione» è «la spinta dal basso, cioè il coinvolgimento della società civile. Quello che più la mafia teme è la crescita del senso di cittadinanza, l'annullamento progressivo dell'ignoranza, perché vive attraverso una subcultura». Della mafia, ha concluso Governale, «c'è bisogno di parlarne»: «Oggi scientemente non esprime violenza, però fa affari e quindi parlare di mafia e di quello che rappresenta la mafia in termini di infiltrazioni e di perniciosità nei confronti della società civile è importante».
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