Madri coraggio contro la malasanità: esplode la rivolta delle «mani rosa»

Contro le pratiche ginecologiche dolorose nei parti e la scarsa sensibilità verso le donne nelle corsie degli ospedali

BELGRADO «Ricucita dopo il parto senza analgesici, esperienza orribile». «Prima gravidanza, solo un ricordo lancinante». «Un aborto nel 2011, raschiamento senza anestesia», cinque anni dopo «nuovo raschiamento, ancora senza anestesia». «Tutto come in un brutto sogno, è ora che le donne alzino la voce». Sono solo alcune delle testimonianze anonime, scritte da donne bosniache, scioccate in uno dei momenti più importanti della loro vita, il parto. O maltrattate, dal punto di vista medico, nel momento tragico di un aborto. Testimonianze – centinaia e centinaia - che sono state raccolte dall’Ong bosniaca “Prirodan porod” (Parto naturale) a fine ottobre del 2018, un anno che sarà ricordato, nei Balcani, come quello di una vera e propria “rivolta in rosa” contro procedure ginecologiche dolorose durante parti - e aborti - ma anche contro i modi ruvidi e la scarsa sensibilità verso le donne da parte dello staff medico degli ospedali. Fenomeno che non è nuovo.



Già nel 2016 uno studio aveva rivelato che circa «l’80% delle donne» in Bosnia si era dichiarata «insoddisfatta per il trattamento» in clinica, ricorda l’attivista bosniaca Sanida Hasanovic-Car. Ma ora, finalmente, se ne parla pubblicamente, superando i tabù. Il là lo ha dato la deputata croata Ivana Nincevic-Lesandric, che ha pubblicamente denunciato in autunno il trauma vissuto dopo un aborto spontaneo, raccontando di un «raschiamento senza anestesia» operato in un ospedale pubblico nei «trenta minuti più dolorosi della mia vita», mani e gambe bloccate, ha riassunto l’agenzia France Press, che ha definito il movimento in rosa un Me Too balcanico.

Da lì è stato un crescendo, con le donne bosniache mobilitate da “Prirodan porod”, ma anche le croate della campagna «Rompiamo il silenzio», organizzata dall’Ong “Genitori in azione” (Roda). Il problema riguarda in particolare «l’assenza di anestesia durante procedure di assistenza medica riproduttiva, incluse biopsie, suture dopo aborti o parti», illustra Daniela Drandic, di Roda, che rivela che «una donna su tre ha dovuto sopportare procedure ginecologiche senza anestesia» in Croazia.

Ma non ci sono solo Bosnia, Croazia, la Macedonia. A condividere il problema è pure la Serbia. «Il nostro sistema sanitario non è ideale», spiega Jovana Ruzicic, direttrice dell’Ong “Centar za mame”, ma per le donne in gravidanza il tutto è reso insostenibile dall’approccio «patriarcale» dei medici maschi. In una ricerca realizzata dal Centro in Serbia, aggiunge l’attivista, un 10% di donne ha ammesso di «non volere più affrontare una gravidanza, dopo la prima esperienza» traumatizzante. Ma qualcosa potrebbe cambiare, grazie a una battaglia condotta «in tutta la ex Jugoslavia, dove le esperienze sono simili», assicura Ruzicic.



Ottimista? «Sono un’attivista, ci credo. E lavoro perché la speranza si concretizzi». Fiduciosa è anche la dottoressa bosniaca Amira Cerimagic, presidente di “Prirodan porod”, che assicura che qualche passo avanti negli ultimi mesi c’è già stato, grazie alle campagne di mobilitazione, aggiungendo che quella della sua Ong «ha avuto un enorme impatto» e «abbiamo dovuto interrompere» l’accoglimento delle denunce, vista la loro mole.

Ma la lotta in rosa nei Balcani, per una sanità a misura di donna, quella non si ferma. —


 

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