Madre e figlio trovati morti nel garage, spunta una lettera
MUGGIA Due fogli di carta battuti a computer, in cui fa cenno al motivo del suo gesto. «Ho scelto la libertà...», scrive in un passaggio. La libertà di farla finita perché non riusciva più a «vivere senza papà», morto alcuni mesi fa.
C’è tutto il dolore di un lutto mai accettato e mai rielaborato, nelle poche righe che il quarantacinquenne Marco Ferraro ha fatto trovare in casa prima di suicidarsi assieme alla madre, la sessantottenne Daniela Macor, nel garage della villetta di Muggia in via di Pianezzi 24/A.
I due cadaveri sono stati scoperti mercoledì mattina dalla Polizia e dai Vigili del fuoco nell’abitacolo dell’auto. Il tubo di scappamento era collegato al finestrino.
La segnalazione alle forze dell’ordine è partita da un cliente del tabacchino che mamma e figlio gestivano in via D’Annunzio, un negozio non distante dall’abitazione di via di Pianezzi. Il cliente aveva notato le serrande stranamente abbassate da sabato e ha dato l’allarme.
Sui corpi non risultano segni di violenza che possano far pensare a qualcosa di diverso dal suicidio. Il fatto, in tutta la sua drammaticità, è dunque chiaro e non verrà avviata alcuna indagine dalla Procura. Non ci sarà l’autopsia. Del tragico caso è stata informata la pm Chiara De Grassi.
Nel resto della lettera di Marco, in quello che in un primo momento sembrava un testamento, non c’è traccia di lasciti o altro per la divisione tra i parenti dei beni di proprietà famigliare.
Nelle due pagine il figlio fa invece ampio riferimento al suo gatto, al quale evidentemente era molto legato: dove l’aveva trovato e a chi affidarlo dopo che si sarebbe tolto la vita.
Altro non emerge da questa cupa vicenda, anche perché i parenti mantengono il massimo riserbo.
Quello che si deduce viene a galla dalle numerose testimonianze di chi conosceva sia Daniela Macor che Marco Ferraro, raccolte anche dalla Polizia in questi giorni di accertamenti.
Molti muggesani, a cominciare da chi frequentava abitualmente il tabacchino di via D’Annunzio, descrivono mamma e figlio come due persone fragili e depresse. Non si erano mai ripresi dal duro colpo della morte di Giuseppe Ferraro, detto “Pino”, marito di Daniela e padre di Marco; era un rinomato professore e per molti anni docente di Tecnologia, oltre che vicepreside dell’Istituto comprensivo Bergamas.
Pino era considerato un innovatore nell’ambito dell’educazione ambientale: aveva promosso il progetto “Ambiente marino” nel Golfo di Trieste, che si proponeva di inserire i giovani in un contesto operativo reale per avviarli a una cultura marinara associata al rispetto dell’ecosistema. Per l’attività didattica il docente metteva a disposizione dei ragazzi il suo catamarano “Aulablu”. Pino era soprattutto la figura centrale di riferimento per la famiglia.
Ma già alcuni anni fa la moglie Daniela avrebbe tentato il suicidio. Si sarebbe buttata giù dalla finestra della casa di riposo in cui era ospitata la madre anziana. Daniela Macor ha sempre negato, parlando di un «incidente».
Il figlio quarantacinquenne, invece, era visto spesso da solo. «Non aveva amici», dicono vicini e conoscenti. «Era un uomo buono, gentile, estremamente intelligente, ma chiuso». Marco alternava il lavoro in tabacchino alla vita a casa con la mamma e il papà. Un rapporto intenso. Senza il padre, il suo “Pino”, non ce la faceva più a continuare, come ha scritto nella lettera. E così la mamma, tanto da decidere insieme il gesto estremo chiusi nell’abitacolo dell’auto.
Quando sono stati trovati, Marco era appoggiato sulla madre. —
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