Macerie, scorie e rifiuti dell’ex inceneritore: la storia del Terrapieno di Barcola, ora verso la rinascita
Dal dopoguerra agli anni Settanta il percorso di un sito inquinato con l’incubo, poi rientrato, della diossina e tanti progetti sfumati
Servivano le rigide scadenze del Pnrr per riscattare il Terrapieno di Barcola e proporre un progetto (realizzabile) per quell’area per anni profondamente inquinata, posta sotto sequestro, inutilizzabile.
I progetti mancati e l’allarme diossina
Nato come discarica tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, inaugurato sotto il grido d’allarme di Enpa e Wwf, il Terrapieno avrebbe dovuto accogliere la nuova sede della Fiera, essere il punto di partenza di un tunnel sottomarino tra l’ex Porto Franco e il Porto Nuovo e ospitare l’ambizioso Parco del Mare.
Nel mezzo un periodo durato più di dieci anni in cui quella prominenza rivierasca e le società veliche che vi sono ospitate finirono sotto tiro, rischiando addirittura la demolizione, a causa delle numerose sostanze nocive, in particolare diossina, emerse attraverso una serie di carotaggi in quell’area.
Analisi del terreno avevano infatti dimostrato come dei 500 mila metri cubi di materiale di riporto con cui venne costruito il Terrapieno, almeno 30 o 35 mila erano scorie prodotte dall’ormai dismesso impianto di smaltimento rifiuti di Monte San Pantaleone.
Le macerie dei bombardamenti
In quegli anni, peraltro, era emerso come sotto le ceneri, presumibilmente scaricate sul Terrapieno tra il 1978 e il 1981, vi sarebbero anche le macerie dei crolli causati dai bombardamenti angloamericani del 1944 e 1945, il materiale di scavo della galleria ferroviaria di circonvallazione e gli inerti dei lavori eseguiti per edificare le sedi dell’Ictp e della Sissa.
Il sito sotto sequestro
Il 30 novembre 2005 il Terrapieno di Barcola fu così posto sotto sequestro giudiziario e la Procura di Trieste aprì un’indagine. Quello che emerse lasciava poco spazio ai dubbi: la concentrazione di diossina nel terreno era molto superiore al consentito. In particolare sulle strade davanti al Club del gommone, dove venne rilevata diossina in misura undici volte sopra i limiti tollerati dalla legge: 113 nanogrammi per chilo rispetto ai 10 ammessi. Vennero registrati valori sballati di rame, stagno, piombo e zinco.
Il sindaco Roberto Dipiazza, allora al secondo mandato, firmò quindi un’ordinanza con la quale fermava tutte le attività per i concessionari della zona, tra cui la Società velica di Barcola e Grignano e il Circolo canottieri Saturnia, suscitando non poco allarme per l’impossibilità di effettuare gli allenamenti stagionali.
Nessun pericolo
I carotaggi che seguirono furono numerosi, tanto da riguardare anche i sedimenti marini e i terreni all’interno delle società sportive. A ogni modo, le analisi, validate dall’Arpa, furono in qualche modo confortanti: nei sedimenti marini alla fine non risultò esserci traccia della diossina trovata a terra.
Non emerse alcun pericolo immediato per la salute dei frequentatori del Terrapieno e nemmeno per gli abitanti della zona, come poi verificato anche dalle analisi sulla qualità dell’aria. Nel 2006 il Comune emanò dunque le prescrizioni sulla fruibilità dell’area e le società veliche poterono riprendere le loro attività. Subito dopo quel chilometro e mezzo di costa venne dissequestrato.
La bonifica: un’operazione titanica
Il Terrapieno rimaneva però molto inquinato. Impossibile pensare di edificarci, destinarlo ad altro. L’Autorità portuale aveva già effettuato alcuni interventi di emergenza, come l’asfaltatura di diversi tratti, ma bonificare tutte le zone inquinate e rimuovere i rifiuti risultò da sempre un’operazione titanica. All’epoca i costi furono stimati in svariati milioni, infrangendo così le mire di imprenditori e istituzioni su quella linea di riviera.
Niente Parco del Mare
Accadde così che Antonio Paoletti, già allora presidente della Camera di commercio, fece marcia indietro con il progetto del Parco del Mare e virò, piuttosto, alla redazione di un piano di fattibilità nell’area di Campo Marzio. A fare marcia indietro, sempre in quegli anni, fu anche Fulvio Bronzi, allora presidente della Fiera, per la cui nuova sede si era puntato proprio alla riviera: all’epoca Bronzi si orientò sulla zone delle Noghere e del Molo IV. Il tunnel di collegamento tra i due scali rimase nel libro dei sogni.
Il protocollo del 2018
Nel 2012 la partita si riaprì e si iniziarono a valutare soluzioni fattibili per mettere in sicurezza l’area. Nel 2018 Authority e Comune firmarono un protocollo di intesa: al primo ente il compito di bonificare la discarica di via Errera, al secondo quella del Terrapieno. A disposizione 5,5 milioni di euro, stanziati intanto dall’ex Provincia (Uti, poi Edr).
I lavori sono partiti all’inizio di quest’anno, e dovrebbero concludersi il prossimo. Serve correre perché il Terrapieno di Barcola si connette al parco lineare del Porto Vecchio, e dovrà ospitare la cittadella dello sport finanziata dal Pnrr: per questo progetto la scadenza è fissata a fine 2025. Nella parte più interna, dove per anni è stato scaricato di tutto, dovrà essere realizzata la stazione Bovedo della cabinovia. —
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