Macedonia pedina nel risiko energetico

Pericoloso scenario ucraino o siriano. Nei Balcani la nuova “guerra” per i gasdotti tra Mosca, Bruxelles e Washington, con la Russia che vuole dettare le regole sugli approvvigionamenti del gas
Il presidente russo Vladimir Putin mentre firma una pipeline
Il presidente russo Vladimir Putin mentre firma una pipeline

TRIESTE. C’è del marcio in Macedonia. E su questo siamo tutti d’accordo. Il governo guidato dal premier Nikola Gruevski è apertamente nazionalista, i gangli dello Stato sono corrotti e tira una brutta aria anti-democratica. Ma tutto questo non da ieri. Gli Stati Uniti e l’Europa stavano a guardare, pronte a chiudere entramabe gli occhi. Poi, d’improvviso, scoppia la rivoluzione. E guarda caso dopo che il premier macedone ha sottoscritto l’accordo per la realizzazione del nuovo gasdotto russo (leggi Gazprom) che collegherà i giacimenti del Caucaso con Turchia, Grecia, Macedonia (per l’appunto), Serbia, Ungheria e Austria. Ecco allora che le masse macedoni scoprono di vivere in un Paese anti-democratico e corrotto, ecco che dal Kosovo arrivano i guerriglieri (risorti) dell’Uck che mettono a ferro e fuoco Kumanovo, ecco le “granate” delle intercettazioni telefoniche rivelate. A guardar bene, quello macedone, ti viene uno strano déja vù che sa di Ucraina e di Siria.

Da alcuni anni Balcani, in effetti, sono diventato il terreno di una “guerra” silenziosa ma altrettanto “cruenta”, una “guerra” che si contende il dominio geopolitico degli approvvigionamenti energetici. Prima c’era South Stream, odiato e avversato dall’Unione europea e dagli Stati Uniti. Bruxelles è arrivato a minacciare apertamente la Bulgaria per il suo appoggio al gasdotto targato Gazprom. Le trattative tra Russia e Ue, sull’argomento, sono state un coreografico dialogo tra sordi. Risultato? Cancellato South Stream, ma cancellato anche il progetto Ue anti-South Stream dal lirico nome Nabucco.

Ma Mosca non molla e fa sul serio. Il presidente russo Vladimir Putin solletica gli appetiti dell’amico ungherese Orban e con la controllata statale Rosnjeft si muove per acquistare l’azienda petrolifera croata Ina dalla magiara Mol che ne detiene il pacchetto di maggioranza. Con nel mirino anche la slovena Petrol per puntare al mercato della piccola distribuzione nei Balcani occidentali. Ma non solo. La raffineria Ina di Fiume è un bocconcino niente male per Mosca non fosse altro per il fatto che sta sulle coste adriatiche. Apriti cielo. Dagli Stati Uniti parte immediatamente l’emissario del Dipartimento di Stato Usa per i temi energetici, Amos Hochstein che si reca (tutto avviene sotto traccia) in Croazia e in Ungheria, per scongiurare l’assalto all’Ina da parte di Rosnjeft e a Zagabria promette dollari (tanti) per l’avvio del progetto del rigassificatore a Veglia per il quale si sono dimostrati molto interessati anche gli sceicchi del Qatar.

Risultato: Zagabria e Budapest continuano la loro guerra di retroguardia a colpi di denuncie in tribunale per il controllo dell’Ina. Ma Mosca non sta a guardare. E cala il suo asso. Il nuovo gasdotto che dal confine orientale turco dovrebbe arrivare fino in Austria senza escludere a priori anche un possibile collegamento con l’Italia. Mosca è pronta a pagare il lavori del passaggio sotto il Mar Nero fino al confine turco, da lì in avanti, secondo fonti russe, l’investimento potrebbe andare a carico degli ex soci di South Stream, ossia Gazprom, la francese Edf, l’italiana Eni e l’austriaca Omv.

La contro mossa statunitense ed europea si chiama invece Transadria, ossia il gasdotto che dall’Azerbaigian arriva in Italia, in Puglia. I numero però sono a favore dei russi. Gazprom potrà convogliare nei suoi tubi 63 miliardi di metri cubi di gas all’anno contro i 16 miliardi messi in piatto dall’Azerbaigian. Quello che dovrebbe però far pensare è che dal 2019 in avanti la Russia potrebbe decidere di convogliare tutto il suo gas destinato ai mercati occidentali proprio attraverso il gasdotto turco-austriaco.

Un altro “nodo” cruciale, oltre a quello macedone, è rappresentato dalla Grecia. Atene ha subito fatto sapere di non essere contraria alla coesistenza dei due progetti. Va sottolineato però che se per il gasdotto Gazprom riceverebbe denaro per i diritti di transito attraverso il suo territorio, da Transadria, inserito nei progetti paneuropei, non avrebbe mezzo euro. E a pagare per aver scarsamente informato dei “giochi energetici” Washington è stato l’ambasciatore a stelle e strisce in Grecia, David Pearce che è stato rimosso. E il risiko continua.

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