Ma Trieste dimentica il Tricolore

Dov'è il palpito dei bersaglieri? Paolo Rumiz sul compleanno dell'unità d Italia

di Paolo Rumiz

Per il compleanno dell'unità avremo il municipio illuminato, ci sarà la notte bianca al Revoltella. Magnifico, viva l'Italia. Ma è ancora poco, troppo poco per la città italianissima. A pochi giorni dall'appuntamento la festa della Patria resta evento di secondo piano, tardivamente pensato e messo su con poca anima. Dove sono le ragazze di Trieste? Dov'è il palpito dei bersaglieri? Quante bandiere sono rimaste in naftalina negli armadi delle famiglie? Cosa è rimasto del mito? Per capire sono andato nella sartoria di bandiere di via San Giorgio (un tempo stava sulle rive in quella che poi divenne la locanda "Alle bandierette")

E ho chiesto alla coppia armata di forbici e macchina da cucire come andasse la vendita. Mi hanno detto «bene». Muggia le aveva chieste tutte nuove, il Comune di Dolina ne aveva ordinato uno stock bello grosso, le Dogane e l'Agenzia delle entrate idem. E i privati? «Ma sì, qualcuno si muove, ne avremo vendute una decina». Una decina! E io che pensavo centinaia... E nello stesso tempo, mi hanno detto, sono uscite dagli stampi sei bandiere austroungariche e sette-otto vessilli di Trieste austriaca, rosso-bianco-rosso con alabarda gialla. Che dire? Quando un anno fa, all'inizio di un mio viaggio italiano in camicia rossa in onore dei Mille per conto di Repubblica, ordinai un bandierone di sei metri più un secondo tricolore d'assalto con la scritta "Viva Garibaldi", quasi si stupirono. Dissero che in quei giorni era più facile trovare bandiere spagnole, per la vittoria dei Mondiali di calcio. Basterebbe questo per capire il crollo del temperatura nazionale in una città dedita più allo spritz e agli schiamazzi notturni che a pensare il proprio futuro.

E basterebbe, anche, per comprendere lo strano patriottismo "a orologeria" di una terra per la quale seicentomila giovani hanno perso la vita, ma che pare avere memoria solo per l'Esodo e il Quattro Novembre. I fanti del Piave chi li ricorda più? Non sono utili elettoralmente. Chiediamoci dunque quanto sincero sia questo sentimento nelle istituzioni, e soprattutto in una Destra che della Patria dovrebbe fare il proprio credo. Per capire, ecco cosa è accaduto alla bandiera sopra il sacello di Oberdan. È lì da sempre, alta sui tetti; garrisce a due passi dalla sede della giunta regionale, visibile da ovunque. Dice alla gente che tempo farà e ai surfisti se è possibile uscire sul mare di Barcola. Ma ecco che il marzo scorso - un anno fa - arriva una tremenda buriana e strapazza il Tricolore al punto da amputarlo. Ebbene, il moncherino è rimasto lì per giorni, settimane, mesi, sopra il sacello di Oberdan e il museo del Risorgimento (credo il meno visibile d'Italia). Per più di sei mesi è rimasto aggrappato all'asta, al ludibrio dello scirocco, del maistro e del neverin. Persino la bora rideva di lui. Lì a sbattersi per tutta l'estate, anche per il concerto di Muti, quando in piazza Oberdan è venuto il presidente della Repubblica. Ma è arrivato ottobre e, alla vigilia della festa dell'Italia che strappa Trieste alla morsa titina, ecco - solo allora - che come per miracolo qualcuno si arrampica lassù, mandato dal Comune, a ridar decoro al luogo. È questo che intendo per patriottismo a orologeria, ma sarebbe meglio definire "a singhiozzo".

La Patria non esiste fra marzo e settembre? È anche per sottile polemica con questa ipocrisia, credo, che i comuni dell'Altopiano, a forte presenza slovena, hanno deciso - spiazzando qualcuno - di esporre il Tricolore il 17 marzo. Una lezione a una Destra alleata con movimenti padani che butterebbero la bandiera nel cesso. Un richiamo forte all'idea di appartenenza a una casa comune, l'Italia, senza che questo implichi una sconfessione delle radici e della lingua, se non italiana. Anche per questo il patriottismo oggi è diventato di sinistra. Per rimarcare - nel momento dello sfascio dei valori e dei localismi furiosi - un'idea moderna ed europea della Patria, fatta di senso della cosa pubblica e di regole comuni. È per questo patriottismo, quello che dura sempre, che io bastardo - mitteleuropeo - antifascista nei giorni della festa uscirò in mare col mio bandierone di sei metri, perché lo vedano in tutto il golfo; e speriamo ci sia un buon vento nelle vele. Ed è per questo che il 17 salirò con un gruppo di camicie rosse su un monte partigiano sopra Vicenza a dar fuoco a un enorme fumogeno tricolore che col bel tempo sarà visibile fino a Verona e ai Colli Euganei.

Lo farò per dare una lezione ai padani che sputano sulla bandiera e poi corrono a pitoccare contributi a Roma ladrona. E a quelli di casa mia, che si accorgono della Patria solo a novembre e febbraio. Lo avete visto? Non ha mai garrito così bene la bandiera sul palazzo del Comune. Forse è un segnale di aria nuova. Tre giorni fa la bora, entrando in piazza Unità, aveva costruito un vortice così perfetto che il Tricolore alto sbatteva verso Mìcheze, e quello al primo piano sventolava verso Jàcheze. È durato un attimo, ma è stato sufficiente perché una coppia austriaca a passeggio accanto agli "Specchi" si incantasse col naso per aria. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo