Ma c’è ancora chi non capisce i rischi che si possono correre
TRIESTE Gli anziani appartengono a una delle categorie di persone maggiormente colpite da questa pandemia, non solo per i rischi di carattere sanitario ma anche per le conseguenze sulla loro vita affettiva e sociale. Se per alcuni di loro è possibile contare sul supporto materiale e psicologico della famiglia, per altri si è invece reso necessario l'intervento dei servizi sociali. Uno dei servizi fondamentali in tale ambito a livello locale è rappresentato dal progetto Habitat Microaree - promosso dal Comune di Trieste, l’Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina e l’Ater - che durante questa difficile fase ha continuato a stare a fianco alle persone più fragili con delle attività riviste e rimodulate. Infatti, sono state sospese tutte le attività di socializzazione in gruppo e gli assistenti sociali hanno dovuto ridurre il contatto con gli utenti per diminuire il rischio di contagio, operando un monitoraggio telefonico giornaliero e recandosi a domicilio per portare la spesa solo una o due volte alla settimana.
Come spiega Francesca Guardiani, assistente sociale nel rione di Ponziana, questo ha modificato profondamente il rapporto con gli anziani, in particolare per la mancanza di contatto fisico dato che non è più possibile scambiare una semplice stretta di mano o un abbraccio. «Adesso gli anziani sono stufi e vogliono tornare alla vita di prima – afferma Guardiani -. Non tutti riescono tanto a capire la gravità della situazione, essendo rimasti a casa senza vedere la gente con le mascherine o in fila con la spesa, o magari sono in una fascia d'età nella quale hanno già subito altre esperienze più difficili come le guerre o i lutti personali».
Anche Manuela Fumis, attiva nell’area di Campi Elisi, racconta che alcuni utenti continuano comunque a uscire come prima della pandemia perché non riescono a comprendere la gravità della situazione, mentre altri si sono ormai adeguati all'uso della mascherina e alla limitazione delle proprie passeggiate. Fortunatamente, entrambe le assistenti sociali riferiscono che non si sono verificati casi di contagi e, inoltre, la maggior parte delle persone seguite sono rimaste abbastanza serene da un punto emotivo, tranne pochi casi in cui si sono sviluppati dei sintomi di depressione più acuti ed è stato necessario attivare ulteriori servizi di supporto. «Quello che manca sono i rapporti semplici e quotidiani– spiega Guardiani-, come parlare con l'edicolante o col negoziante sotto casa, e così le giornate sono diventate molto lunghe per loro». Il rischio è che a lungo andare una tale condizione possa provocare in particolare tra gli anziani, più che in altre fasce d’età, un aumento dei casi di depressione e ansia. Ora si è in attesa di conoscere le decisioni del governo in merito alle prossime fasi della cosiddetta “riapertura”.
Una delle ipotesi più plausibili che attualmente si sta prospettando è che, fin quando non ci sarà la possibilità di effettuare tamponi su tutti gli operatori sociali, l’assistenza domiciliare potrà continuare a essere svolta solo indossando mascherina, guanti e camicie, garantendo così un buon grado di sicurezza sanitaria ma causando grandi difficoltà da un punto di vista comunicativo. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo