L’uomo delle idee che reinventò il caffè

La sua frase-simbolo: «Sono un cocktail di scienza e business e credo nella natura»
Cinquanta chicchi che danno origine a una piccola tazzina. Così Ernesto Illy definì il suo lavoro nella «Lectio solemnis» per il conferimento della laurea honoris causa a Udine nel 2005. Una frase semplice, apparentemente banale, dietro la quale però si legge tutta la storia, la voglia d’innovazione, l’avventura, di un’intera dinastia. Cinquanta chicchi per una piccola tazzina sono solo l’ultima tappa di una vicenda molto antica che prosegue ancora oggi e in cui si mescolano storia, scienza, imprenditoria, economia e cultura.


Una miscela, appunto, che ha portato il nome di Illy nel mondo, e che nella figura di Ernesto Illy ha trovato l’espressione migliore della complessità da cui deriva, e in cui si risolve. Perché Ernesto Illy sapeva fare questo: cercare, studiare e se possibile dominare la complessità. Non a caso tra i grandi personaggi che aveva conosciuto e più ammirato c’era Ilya Prigogine, il chimico-filosofo insignito anche del Premio Nobel che aveva spiegato all’umanità com’è che dal caos nasce l’ordine, com’è che la vita sia una continua diversificazione e fltuttuazione, e com’è che la libertà si evolva sempre nella complessità. E se la complessità domina il mondo, diceva spesso Ernesto Illy, chi conosce la complessità ha il mondo dalla sua.


Del resto la complessità, intesa come vitale unione delle parti, molteplicità e aggregazione, sembra essere la cifra caratterizzante dell’intera dinastia Illy. A cominciare dal padre di Ernesto, Francesco. Nato nel 1892 da madre tedesca e padre ungherese a Temesvar, l’attuale Timisoara in Romania, città trilingue dove si parlava indifferentemente rumeno, tedesco e ungherese, a 16 anni Francesco andò a lavorare a Vienna. A 22 anni entrò nell’esercito austroungraico per combattere su tutti i fronti più caldi: Polonia, Carpazi, e infine nelle trincee del Carso. Poi andò a fare il contadino in Istria, a Brazzania, vicino Buie, distinguendosi per essere un audace sperimentatore di nuove colture e uno dei primi a usare un trattore. Infine si stabilì a Trieste, cominciando a occuparsi di cioccolato e di caffè. E nei chicchi di caffè il capostipite della dinastia vide subito un futuro di prosperità e ricchezza. Fu lui a inventare la pressurizzazione, e fu sempre lui a ideare «Illetta», la prima macchina per il caffè espresso in grado di preparare fino a tre tazzine contemporaneamente. Due idee che insieme alla più recente «cialda in carta» fanno parte delle otto innovazioni del secolo scorso che hanno rivoluzionato il modo di produrre e consumare caffè.


Così, quando nel 1956 Ernesto Illy diventa comproprietario e amministratore della Illycaffè fondata dal padre Francesco, ha già le idee piuttosto chiare su cosa deve fare. Il padre gli ha insegnato che nella vita, come negli affari, nulla va dato per scontato, mentre gli studi in chimica (laurea nel 1947) gli aprono più di una finestra sulla complessità combinatoria della materia, facendogli capire una volta per tutte che «la mutazione è la regola e non l’eccezione».


«Sono un cocktail di scienza e business», dirà più tardi Ernesto Illy di sé, mentre da tempo scommette tutto su funambolici incroci fra piante di Arabica, «personaggi straordinariamente complessi, delicati ed esigenti» come li definisce. Considera come prima, vera, grande maestra la «poderosa fantasia creatrice della natura», e nella capacità costante della natura di ritrovare nuovi equilibri scopre un’alleata che gli consente far fare alla sua azienda passi da gigante. Difende la diversità biologica, s’ingegna con i cromosomi delle piante, brevetta invenzioni e innovazioni, mette a punto un sistema di selezione dei chicchi di caffè «alla luce bianca» e alla luce ultravioletta che permette di scegliere solo il meglio della raccolta. La società illycaffè si amplia, cresce, la sua articolazione, la sua continua capacità di mutare e di adattarsi, sembra riassunta in quello che l’azienda chiama il «modello delle 4C»: Cuore, Cliente, Cassa, Crescita.


In questa navigazione a gonfie vele verso approdi sempre più lontani la moglie e i figli sono con lui. È come se il vento di bora soffiasse in modo costante, lasciandosi domare per seguire la rotta segnata. Non a caso si chiama «Buriana» la prima barca di famiglia, non caso si chiamerà «Buriana» la finanziaria attraverso la quale i quattro figli di Ernesto - Riccardo, Andrea, Anna e Francesco: la terza generazione - parteciperanno al capitale della Illy spa.


I rampolli della quarta generazione Illy sono sette, ma per il momento solo il giovane Ernesto junior sta muovendo i primi passi in azienda. Andrea Illy, nato a Trieste nel ’64, è il presidente. Riccardo, del ’55, governatore della nostra Regione, è vicepresidente. Francesco e Anna fanno vita più appartata. Il primo, padre di Ernesto junior, ha dato nome e vita alla linea di stoviglie «Francis & Francis», abita a Montalcino, produce vino ed è un apprezzato fotografo. Anna ha vari incarichi direttivi, segue i programmi di sviluppo strategico con i Paesi produttori ed è stata fra l’altro presidente dell’Assindustria di Trieste. Una dinastia, una delle grandi famiglie industrali d’Italia. E anche su come vada gestita una grande impresa familiare Ernesto Illy aveva le idee chiare: «Il vero padrone è il pubblico - amava ripetere - e chi crede di comandare si dimentica di questa lapalissiana realtà».


Ecco cosa intendeva dire Ernesto Illy parlando di quei cinquanta chicchi che danno origine a una piccola tazzina. Una tazzina bevuta ogni giorno da milioni di persone in ogni parte del mondo.
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