L’uomo che ha truffato tremila clienti in lacrime ma non parla dal giudice
PORDENONE Con le lacrime agli occhi davanti al giudice, provato dopo le prime due notti in carcere della sua esistenza. È rimasto in silenzio, all’interrogatorio di garanzia, Fabio Gaiatto, 43 anni, ritenuto dagli inquirenti la mente dell’associazione per delinquere finalizzata alla truffa nella cui rete sono caduti 3 mila risparmiatori e più di 72 milioni di euro.
«Gaiatto, lei oggi ha l’occasione di cambiare la sua vita». Le parole del gip Rodolfo Piccin hanno fatto breccia: il trader si è commosso, ma è riuscito a trattenere in quel momento le lacrime. Assistito dall’avvocato Luca Ponti del foro di Udine, ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere. Poi, quando la porta si è aperta, ed è rimasto in piedi nell’ufficio del gip, si è visto Gaiatto asciugarsi con le dita le guance. La sua vita è cambiata in peggio invece dall’11 settembre, quando è stato arrestato. Dalla villa con piscina a Portogruaro e vita agiata a una cella nel Castello di Pordenone e al viaggio di andata e ritorno sul furgone della penitenziaria, condiviso con un altro detenuto.
Gaiatto, pantaloni blu, mocassini e polo gialla, si è seduto a una scrivania in corridoio. Con carta e penna in mano, libero dalle manette con le quali ha fatto il suo ingresso nel palazzo di giustizia, scortato dalla polizia penitenziaria, il trader ha cominciato a prendere diligentemente appunti, mentre l’avvocato Ponti sfogliava e leggeva, pagina dopo pagina, l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Piccin, indicando al suo assistito i passaggi da approfondire. Uno studio che si è protratto per più di mezz’ora, prima di risalire sul furgone della penitenziaria e ritornare in carcere.
La difesa di Gaiatto, che è assistito in mandato congiunto dall’avvocato Ponti e dal professor Loris Tosi, ha scelto il silenzio – in stanza era presente anche il pm Monica Carraturo – ritenendo che il 43enne portogruarese abbia già chiarito ogni cosa il 27 aprile. In quella occasione è stato lo stesso Gaiatto a presentarsi spontaneamente in Procura, rendendo interrogatorio. «La sua versione dei fatti è stata registrata – ha osservato il difensore – e da allora non è successo nulla. Le ultime contestazioni che gli vengono addebitate risalgono al dicembre 2017, compresa l’associazione per delinquere. Gaiatto ha cercato di usare il 2018 non certamente per consumare reati, ma per risolvere il problema».
La difesa ha sottolineato come sarebbe nello stesso interesse dell’indagato riuscire a restituire le somme agli investitori che ne hanno fatto richiesta. Al di là dell’aspetto etico, se Gaiatto restituisse i soldi, otterrebbe la remissione della querela per truffa da parte degli investitori. Insomma, avrebbe tutto l’interesse a rimborsare. E allora perché non lo fa? La difesa ha spiegato che quelle somme di denaro, in realtà, non sarebbero nelle disponibilità di Gaiatto. Innanzitutto perché, secondo la tesi difensiva, riferita dallo stesso indagato, 12 milioni di euro sarebbero stati sottratti da alcuni suoi collaboratori. Ipotesi senza riscontri, per la Procura. «Gaiatto ha presentato denunce e ha fatto anche dei nomi», ha ribadito l’avvocato Ponti. Si aggiunge al caso la complicazione legata alla sede estera delle otto società utilizzate per fare gli investimenti. È la stessa ragione per la quale anche la Guardia di finanza non è ancora riuscita a trovare i 43,6 milioni di euro che secondo gli inquirenti mancano all’appello. Sono in corso le rogatorie internazionali per tracciare la rotta verso il tesoretto. Anche gli immobili del valore di 3,7 milioni sono stati conferiti in capitale sociale alla Studio holding: in caso di fallimento della società, Gaiatto perderebbe la casa. La difesa ha rivelato che Gaiatto ha contattato un finanziatore per vendere gli immobili, in modo da poter restituire il ricavato. Ora sono sotto sequestro
In questo contesto va collocato l’episodio del minaccioso agente di recupero crediti ingaggiato da Gaiatto: «Un disperato tentativo di farsi restituire i soldi», «ma in quel momento non sapeva che cosa ci fosse dietro quella persona». . Quanto ai faldoni da bruciare, l’avvocato Ponti ha ribattuto che il suo assistito nega di aver dato un simile ordine alla segretaria: «Nessun contratto è stato bruciato. Se davvero avesse avuto la capacità di incutere soggezione la sua segretaria lo avrebbe fatto. Invece ci sono tutti. Questo mi fa pensare che la ricostruzione non sia esatta». Dopo l’interrogatorio si preannuncia il ricorso al tribunale della libertà. «Gaiatto è sicuramente provato, ma fiducioso di poter chiarire tutto». —
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