L’Università di Trieste “sposa” la città metropolitana

TRIESTE. Non è un pamphlet politico, ma un corposo studio sulla fattibilità di un'ipotesi. Si intitola “La città metropolitana di Trieste. Analisi territoriale, economica, sociologica, giuridica”: 150 pagine curate dai professori dell'Università di Trieste Romeo Danielis, Paola Di Biagi, Paolo Giangaspero e Giorgio Osti. Un lavoro commissionato alla fine del 2012 dalla Regione reso pubblico nei giorni scorsi dalla Eut, casa editrice dell'ateneo triestino.
La città metropolitana è stata inserita per la prima volta nell'ordinamento italiano dalla disattesa legge 142/1990 sulle autonomie locali e quindi oggetto di numerose e contraddittore disposizioni successive, fino all'inserimento in Costituzione nel 2001. Soltanto nel 2014, il governo Renzi ha dato via libera a dieci città metropolitane: Roma, Milano, Napoli, Torino, Bari, Firenze, Bologna, Genova, Venezia e Reggio Calabria. Altre potranno essere istituite dalle Regioni speciali, ma sul caso Trieste il centrosinistra è diviso: contrari i consiglieri regionali (con qualche voce giuliana fuori dal coro), favorevoli il sindaco Roberto Cosolini e il senatore Francesco Russo, autore di un recente emendamento ad hoc, non proprio gradito alla governatrice Debora Serracchiani.
La concomitanza della pubblicazione con il dibattito delle scorse settimane è casuale, ma non può che accrescere l'interesse per le conclusioni di una ricerca multidisciplinare, tesa a verificare l'opportunità di tre modelli futuribili di città metropolitana: corrispondente alla provincia di Trieste, comprendente anche quella di Gorizia o estesa da Monfalcone a Capodistria. La premessa dello studio si smarca dalla polemica: «Nessuna delle tre è ritenuta decisamente superiore alle altre. Sarà compito della politica scegliere». Ma non si nasconde che la città metropolitana sia «dal punto di vista del governo del territorio (e della gestione efficace e sostenibile dello stesso) di straordinaria rilevanza».
Oggetto dell'indagine sono gli aspetti urbanistico-territoriali, economici, socio-politici e legislativi, che giustifichino l'inserimento di una serie di Comuni in un «ambito metropolitano»: servizi pubblici, pianificazione territoriale, ambiente, infrastrutture, mobilità, sviluppo e integrazione dell'economia, occupazione, specializzazione produttiva, patrimoni storico-culturali, funzioni amministrative e rapporti fra i Comuni, che continuerebbero a esistere anche nel nuovo scenario.
Nelle conclusioni, i ricercatori esprimono preferenza per la soluzione Trieste-Gorizia, ritenuta migliore per ragioni insediative, infrastrutturali, storico-culturali, economiche e di tutela ambientale. Si privilegia un territorio composto da due centri capoluogo, con Monfalcone a far da cerniera e un Carso ricomposto. Un'area con discreta integrazione economica, in cui densità di concentrazione, specializzazione produttiva e numero di abitanti hanno però caratteristiche simili soltanto a Trieste, Muggia e Monfalcone, accomunate dalla presenza di una radicata economia del mare e da una potenziale Autorità portuale unica regionale. Omogeneo si presenta il mercato del lavoro e non manca una forte interconnessione dei flussi di pendolari, con Trieste ad attirare ogni giorno circa 11.500 fra lavoratori e studenti, non soltanto dalla provincia, ma anche da Monfalcone e Ronchi. Sono invece 6.600 le persone che si spostano in senso inverso. Fra i lati negativi, i costi per la riorganizzazione dei servizi (ma con pronosticati risparmi sul medio termine) e la mancanza di un'identità socio-culturale “riconoscibile”, nonostante la presenza del dialetto istro-veneto e della minoranza slovena.
La palla passa alla politica, con l'avvertenza dei giuristi dell'équipe a ricordare l'esistenza di un quadro di norme e competenze non ben definito e a considerare il necessario coinvolgimento delle popolazioni, nonché il macigno costituito dal dissenso di alcuni enti locali interessati dall'aggregazione, come i Comuni del Carso triestino.
Lo studio riserva maggiore freddezza per le altre ipotesi. La sola provincia di Trieste sarebbe insufficiente senza il polo di Monfalcone e fortemente minata dal dissenso della comunità slovena. Il ponte verso Capodistria è a sua volta ben visto sotto il profilo territoriale, antropico ed economico, ma minato in partenza dall'appartenenza a entità statali diverse, che consentono soltanto forme di coordinamento “soft”, come l’Euroregione e accordi volontari di cooperazione transfrontaliera.
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